martedì 28 settembre 2010

G.G. Belli e le antichità di Roma (2)

La Ritonna (Il Pantheon)

Sta cchiesa è ttanta antica, ggente mie,
che cce l’ha ttrova er nonno de mi’ nonna.
Peccato abbi d’avé ste porcherie
da nun essesce (1) bbianca una colonna!

Prima era acconzagrata a la Madonna
e cce sta scritto in delle lettanie:
ma doppo s’è cchiamata la Ritonna
pe ccerte storie che nun zò bbuscíe.

Fu un miracolo, fu; pperché una vorta
nun c’ereno finestre, e in concrusione
je dava lume er buscio de la porta.

Ma un Papa santo, che ciannò in priggione,
fesce una Croce; e ssubbito a la Vorta
se spalanco da sé cquell’occhialone. (2)

E ’r miracolo è mmóne (3)
ch’er muro cò cquer buggero de vôto,
se ne frega de sé (4) e dder terremoto.

Terni, 7 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

1 Esserci. 2 Credenza popolare. 3 Mo: ora. 4 Si ride di se stesso.

L'Anfiteatro Flavio (Colosseo)

 Ecco, dopo il sonetto di Belli, un po' di notizie sul Colosseo.
Il Colosseo fu costruito durante l’impero dei Flavi nella valle compresa tra Palatino, Oppio e Celio sancendo il ripristino dell’uso pubblico di questa vasta erea che in precedenza era stata sottratta alla cittadinanza da Nerone, il quale ne aveva fatto il centro della sua grandiosa Domus Aurea, con un lago artificiale circondato da immensi giardini.
Infatti prima della costruzione del grande anfiteatro i combattimenti tra gladiatori (munera) si svolsero per molto tempo nel Foro Romano e in edifici provvisori di legno costruiti occasionalmente, e il primo anfiteatro stabile in muratura fu costruito da Statilio Tauro nel Campo Marzio solo in epoca augustea.
Fu Vespasiano a iniziare i lavori per la costruzione dell’anfiteatro sul sito del lago neroniano e a fare una prima cerimonia dedicatoria dell’edificio quando ancora non era stato completato nel 79 d.C., ma soltanto durante l’impero di Tito si portarono a termine i lavori e l’Anfiteatro Flavio fu dedicato definitivamente per la seconda volta nell’80 d.C. con una grandiosa cerimonia e cento giorni di festa durante i quali nei combattimenti all’interno dell’arena furono uccise cinquemila belve. La decorazione dell’edificio e la rifinitura di tutti i suoi particolari avvenne solamente con Domiziano al quale deve essere attribuita probabilmente anche la costruzione dei sotterranei dell’arena, sotteranei che in precedenza non dovevano essere presenti se sono vere le notizie fornite dagli autori classici su alcune naumachie (battaglie navali) svolte nell’anfiteatro durante gli anni di principato di Vespasiano e Domiziano.
Costruito in massima parte di travertino e di forma ellittica con l’asse maggiore di 188 m. e quello minore di 156 m. l’Anfiteatro Flavio raggiunge l’imponente altezza di 52 m., al suo interno poteva ospitare circa 87.000 persone. L’anello esterno è composto da quattro ordini sovrapposti, i primi tre con arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche al primo piano, ioniche al secondo e corinzie al terzo. Il quarto ordine, alla sommità dell’edificio, e costituito da una parete con lesene corinzie che scandiscono ottanta riquadri all’interno dei quali si aprono a intervalli regolari quaranta finestre quadrate. Su questo attico sono ancora visibili i fori e alcune mensole che servivano per alloggiare le travi di sostegno del velario che serviva per riparare gli spettatori dal sole. A manovrare l’enorme telo e le relative funi che ne dovevano regolare il funzionamento era addetta una squadra di marinai chiamati dal porto del Miseno e stabilmente alloggiata nei pressi dell’anfiteatro nei Castra Misenatium.
All’esterno l’area di rispetto dell’edificio era delimitata da una serie di cippi di travertino, concentrici all’anfiteatro, e ancora oggi ne rimangono alcuni inseriti nella pavimentazione originale. Gli spettatori muniti di una tessera numerata per assistere agli spettacoli potevano accedere alle gradinate interne attraverso settantasei delle ottanta arcate totali di ingresso. Sulla chiave di volta di queste arcate infatti si possono ancora leggere i numeri che, presenti anche sulle tessere distribuite gratuitamente agli spettatori, permettevano la regolare affluenza nei giorni degli spettacoli. Le quattro arcate corrispondenti alle estremità degli assi dell’edificio costituivano gli ingressi privilegiati per senatori, sacerdoti e magistrati, e l’unica di queste arcate conservata, quella settentrionale che rivela anche tracce di un piccolo portico ad essa connesso, doveva probabilmente costituire l’ingresso al palco imperiale che doveva trovarsi al centro del lato nord della cavea.
L’interno dell’anfiteatro ospitava cinque settori di gradinate sovrapposti (maeniana) e in ognuno di questi settori trovavano posto determinate categorie di persone divise in base al rango sociale. Nel primo settore, più vicino all’arena, sedevano i senatori, con posti personali (rivelati da iscrizioni con alcuni nomi) su gradinate di marmo, seguiti subito dopo dai cavalieri. Quindi nei tre settori successivi si sistemava il resto della popolazione sempre seguendo gerarchie sociali, ed infine nell’ultimo settore, considerato il peggiore e costruito in legno sotto un colonnato alla sommità dell’anfiteatro, trovavano posto le donne.
Queste gradinate poggiano sopra pilastri e volte a botte che al piano terra formano cinque corridoi concentrici, mentre il rapido deflusso degli spettatori era regolato da un complesso sistema di scalinate. L’analisi dell’edificio ha rivelato la presenza di uno scheletro portante, costituito da pilastri di travertino collegati da archi in muratura e dalle volte su cui poggiano i diversi settori della cavea, che ha permesso la rapida conclusione dei lavori con la possibilità di alzare i muri riempitivi tra i pilastri contemporaneamente al piano inferiore, in blocchi di tufo, e in quello superiore, in muratura.
Al centro dell’anfiteatro l’arena concentrava su di sé l’attenzione degli spettatori che spesso assistevano meravigliati all’improvvisa apparizione di scenografie, gladiatori e animali, protagonisti dei combattimenti o delle cacce (venationes). Infatti il piano dell’arena doveva essere costituito da una struttura mista di muratura e legno o da un tavolato ligneo in cui si aprivano delle botole attraverso le quali venivano issati, con un sistema di montacarichi, gli elementi scenografici e i protagonisti dei combattimenti. I corridoi che compongono i sotterranei dell’arena ospitavano tutti i macchinari (carrucole, montacarichi e rampe inclinate) che servivano per il regolare svolgimento degli spettacoli, e inoltre il corridoio centrale maggiore consentiva un accesso nascosto e diretto, verso est, con la grande caserma dei gladiatori, il Ludus Magnus.
Interessato da numerosi interventi di restauro nel corso dei secoli da parte degli imperatori l’Anfiteatro Flavio una volta aboliti definitivamente i combattimenti tra gladiatori nel V secolo d.C. iniziò la sua fase di declino, divenendo nel Medioevo sede della famiglia dei Frangipane. Seguirono numerose spoliazioni di materiale, come il recupero delle grappe metalliche delle murature attraverso i numerosi buchi tra i blocchi ancora visibili, e l’utilizzazione dell’anfiteatro come vera e propria cava di materiale, soprattutto travertino, per costruzioni moderne, tra cui il Palazzo Barberini nel 1634 e il Porto di Ripetta nel 1703.
Ancora oggi e dopo tanti secoli l’Anfiteatro Flavio, che solo dall’VIII secolo prese il nome di Colosseo per la vicinanza della statua colossale di Helios detta Colossus, colpisce il visitatore per la sua maestosità ed imponenza, caratteristiche che hanno portato ad indicare questo monumento come il simbolo stesso di Roma e che hanno ispirato la famosa e suggestiva profezia formulata nell’VIII secolo dal Venerabile Beda: “Fino a che starà in piedi il Colosseo anche Roma starà i piedi; quando cadrà il Colosseo anche Roma cadrà; quando cadrà Roma cadrà il mondo.”

G.G. Belli e le antichità di Roma

G.G. Belli

RIFRESSIONE IMMORALE SUR CULISEO

St'arcate rotte c'oggi li pittori
Viengheno a ddiseggnà cco li pennelli,
Tra ll'arberetti, le crosce, li fiori,
Le farfalle e li canti de l'uscelli,

A ttempo de l'antichi imperatori
Ereno un fiteatro, indove quelli
Curreveno a vvedé li gradiatori
Sfracassasse le coste e li scervelli.

Cqua llòro se pijjaveno piascere
De sentì ll'urli de tanti cristiani
Carpestati e sbranati da le fiere.

Allora tante stragge e ttanto lutto,
E adesso tanta pasce! Oh avventi umani!
Cos'è sto monno! Come cammia tutto!

4 settembre 1835

lunedì 27 settembre 2010

Il Foro Romano

Iniziamo con il cuore pulsante di Roma e dell'impero.
Il Foro Romano ha rappresentato nella storia di Roma oltre che il centro geografico della città anche e soprattutto il centro della vita politica e civile specialmente durante il periodo repubblicano. Qui si svolgevano le assemblee dei cittadini, le sedute del senato e il mercato, inoltre vi si amministrava la giustizia e, almeno fino all’età augustea, qui si svolgevano anche i combattimenti dei gladiatori. Era dunque il luogo dove venivano prese le decisioni riguardo tutta la politica dell’Impero e può a ragione essere considerato come il vero e proprio cuore pulsante del mondo romano.
Ma prima di diventare il centro vitale di Roma altra era la sua natura. Originariamente infatti la zona del Foro, compresa tra le alture del Palatino e del Campidoglio, doveva presentarsi come una valle paludosa attraversata da un corso d’acqua, il Velabro. La prima forma di utilizzazione di questa valle fu di natura funeraria, come attestato dei risultati degli scavi archeologici eseguiti nella zona adiacente al tempio di Antonino e Faustina che hanno rivelato la presenza di una necropoli cronologicamente compresa tra il IX e il VII secolo a.C. e da ritenere pertinente ai centri abitati posti sulle alture dei colli circostanti.
La prima trasformazione avviene intorno al 600 a.C., quando si esegue per la prima volta la pavimentazione del Foro nel momento stesso in cui cessa l’utilizzazione della necropoli e la valle, prima esterna agli abitati vista la sua utilizzazione funeraria, diventa parte di un unico centro nato dall’unione dei precedenti villaggi testimoniando di conseguenza l’avvenuta espansione della primitiva Roma Quadrata sul Palatino. La tradizione romana riporta la pavimentazione del Foro sotto la dinastia dei Tarquini, la cui opera permise la completa utilizzazione della valle sopratutto grazie al sistema di drenaggio con fognature e in primo luogo con la costruzione della grandiosa Cloaca Maxima di cui ancora oggi si conserva il percorso.
Dopo questa sistemazione comincia lo sviluppo monumentale del Foro, ma secondo la tradizione già in precedenza sorsero qui edifici importanti per la storia di Roma, come la Regia, la dimora del re, la cui costruzione è dagli autori classici attribuita a Numa Pompilio, e la quale doveva formare un complesso unitario insieme al tempio di Vesta, uno dei più antichi ed importanti santuari di Roma, e alla Casa delle Vestali.
Nel VI secolo a.C. venne costruito il Comitium nella zona nord del Foro, un’area circolare con sedili che fu il primo luogo di assemblea dei cittadini, collegato con la Curia Hostilia, la prima sede del Senato. Doveva far parte di questo antico complesso del Comitium probabilmente anche il Lapis Niger, cioè quel settore del Foro pavimentato in marmo nero e delimitato da transenne di marmo bianco (ancora conservato di fronte la Curia Iulia) che le fonti indicano come tomba di Romolo e come luogo funesto, e che, al di sotto della particolare pavimentazione, conserva parte di un complesso databile al VI secolo a.C. in cui risalta la presenza di un cippo con iscrizione bustrofedica in latino arcaico.
Nel V secolo a.C. vengono costruiti il tempio di Saturno (498 a.C.) alle pendici del Campidoglio, di cui oggi rimangono il podio e le otto colonne della facciata e che fu anche la sede dell’Erario, e il tempio dei Càstori (484 a.C.) di cui si vedono l’alto podio e le tre colonne corinzie superstiti ad est del Vicus Tuscus.
Successivamente soltanto dopo l’incendio dei Galli del 390 a.C. si ha la ripresa di una intensa attività edilizia al’interno del Foro, in particolare con la costruzione del tempio della Concordia (367 a.C.) ai piedi del Campidoglio, edificato in occasione della fine delle lotte tra patrizi e plebei, e di cui rimane solo parte del podio. Ma la vera monumentalizzazine del Foro avvenne solamente in seguito alla conclusione delle guerre puniche, tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., cioè quando Roma aveva esteso ormai il suo dominio sul Mediterraneo. Nel II secolo a.C. vengono costruite ben quattro basiliche, la Porcia, l’Emilia, la Sempronia e l’Opimia, ma una particolare importanza topografica avevano tra queste la basilica Emilia (unica superstite delle basiliche repubblicane) e la Sempronia (che sorgeva dove sarà più tardi costruita la Basilica Giulia) che regolarizzarono rispettivamente il lato nord e il lato sud della piazza del Foro.
Nel I secolo a.C. si creò un fondale monumentale sul Campidoglio con la costruzione in età sillana del Tabularium, ma la trasformazione più segnificativa del Foro Romano avvenne con Cesare che già dal 54 a.C. cominciò lavori di ampliamento della piazza verso nord, quando iniziò la costruzione del Foro di Cesare. Scomparve così il Comitium e fu costruita la nuova sede del senato, la Curia Iulia, mentre sul versante opposto venne edificata l’imponente Basilica Giulia, al posto della più antica basilica Sempronia.
Con Augusto la sistemazione del Foro si completa nel 29 a.C. con la fine dei lavori iniziati da Cesare e l’inaugurazione dei nuovi edifici come il tempio del divo Giulio, in onore di Cesare divinizzato dopo la morte, che regolarizzò il lato est della piazza, e la tribuna dei Rostra sul lato opposto. Fu inoltre monumentalizzato anche l’ingresso alla piazza sul lato orientale con l’arco Partico e l’arco Aziaco, rispettivamente a nord e a sud del tempio del divo Giulio.
Con la fine della repubblica il Foro Romano perde la sua funzione di centro politico del mondo romano, ma conserva la sua funzione di rappresentanza e nei secoli seguenti ospiterà monumenti ed edifici destinati ad esaltare la figura degli imperatori. Così verranno costruiti il tempio di Vespasiano e Tito, il tempio di Antonino e Faustina e l’imponente arco di Settimio Severo. Quindi gli edifici non trovando più spazio nell’area ristretta del Foro Romano vero e proprio saranno costruiti nella zona più ad est, seguendo il percorso della via sacra, come l’arco di Tito, il tempio di Venere e Roma, la basilica di Massenzio e il tempio di Romolo. L’ultimo monumento eretto nel Foro è la Colonna di Foca, alzata al centro della piazza nel 608 d.C., e dopo questa data tutta l’area verrà gradualmente abbandonata e subirà un notevole interro nel corso dei secoli successivi. Gli unici edifici a salvarsi dall’oblio furono quelli riutilizzati e trasformati nel Medioevo in chiese cristiane, come la Curia Iulia che divenne la chiesa di S. Adriano, il tempio di Antonino e Faustina che fu adattato per ospitare la chiesa di S. Lorenzo in Miranda, il tempio di Romolo trasformato nela chiesa dei Santi Cosma e Damiano e una sala del palazzo imperiale ai piedi del Palatino dove fu sistemata S. Maria Antiqua. Gli altri edifici caddero in rovina e in gran parte furono depredati dei loro materiali, riutilizzati in altre costruzioni soprattutto durante il Rinascimento quando servirono per la costruzione della nuova Basilica di S. Pietro. Anche il nome stesso di Foro scomparve e tutta la zona del Foro venne chiamata Campo Vaccino, visto che ormai vi pascolavano i buoi. Dopo molti secoli soltanto alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento il Foro Romano sarebbe tornato alla luce grazie agli scavi archeologici che permisero la liberazione di tutta l’area e dunque la riscoperta del cuore dell’antica Roma.

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