venerdì 24 dicembre 2010

I Saturnalia



Il 17 dicembre nel calendario romano era la festa per la conclusione dei lavori sui campi dopo la semina invernale, festa dedicata a Saturno, dio dell'agricoltura. Originariamente questa festa aveva inizio con un sacrificio al tempio di Saturno cui seguiva una grande euforia dei cittadini per tutto il giorno e fino a notte fonda. I Saturnali che al principio duravano un solo giorno vennero portati a sette giorni (17-23) verso la fine del I secolo d.C.
Caratteristica di questa festa era l'evasione dalla normalità, infatti durante i Saturnali oltre alla sfrenatezza consentita cadevano le barriere sociali. Gli schiavi potevano dire ai loro padroni tutto ciò che pensavano senza essere puniti, almeno gli schiavi di città, ma sappiamo di agevolazioni anche per gli schiavi che vivevano in un regime più duro, come quelli che lavoravano nelle campagne. Per gli uomini liberi la festa era sinonimo di riposo dai lavori, infatti tribunali e scuole restavano chiuse, e soprattutto di una allegria sfrenata, chiassosa, con attività folli e giochi d'azzardo che erano consentiti solo durante questi giorni. Questa caratteristica di allegra euforia è stata ereditata dal nostro Carnevale.
Un altro elemento dei Saturnali è stato assimilato in una nostra festività. Si tratta dell'uso di scambiarsi dei doni, passato nel nostro Natale. Originariamente durante la festa di Saturno ci si regalava piccole statuette di terracotta e candele, ma nel corso dei secoli i tipi di regalo divennero i più diversi, proprio come si usa ancora oggi.
Interessante notare come un mercatino tipico dei regali per i Saturnali caratterizzasse la zona dei Saepta, non lontano dall'attuale Piazza Navona dove ancora oggi si svolge nei mesi di dicembre e gennaio il mercato natalizio per eccellenza di Roma.

mercoledì 1 dicembre 2010

Terme di Nerone



Le terme neroniane furono il secondo grande complesso termale dopo quello di Agrippa costruite nel Campo Marzio, e furono le prime ad assumere l'impianto assiale e simmetrico tipico delle terme imperiali.
Furono realizzate sotto l'impero di Nerone intorno al 62 d.C. nella zona oggi compresa tra Piazza della Rotonda, Corso Rinascimento, via delle Coppelle e via dei Crescenzi, ed erano conosciute anche con il nome di Gymnasium Neronis. Dovevano avere un'estensione di circa 25.000 mq e misurare circa 190 x 120 m. Le terme vennero restaurate da Alessandro Severo nel 227 d.C., senza subire alterazioni alla loro planimetria e assumendo da quel momento il nome di Thermae Alexandrinae.
Come le vicine Terme di Agrippa anche queste venivano alimentate dall'acquedotto dell'Aqua Virgo. La planimetria dell'edificio venne disegnata nel Rinascimento e verificata con i resti conservati. Al centro delle terme si trovavano gli ambienti della natatio, un'aula di tipo basilicale e il tepidarium e il calidarium, quest'ultimo absidato. Sui due lati, simmetrici, un cortile porticato con colonne (il Ginnasio) con abside e una grande sala a cui si affiancavano vari ambienti.
Di questo grande complesso rimangono soltanto pochi resti, dei muri sotto Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani, ancora sotto Palazzo Patrizi e in Piazza Rondanini. Due colonne di granito con capitelli di marmo appartenenti alle terme furono scoperte nel 1934 davanti S. Luigi dei Francesi, e vennero poi rialzate in via Giovanna D'Arco sul lato della chiesa di S. Eustachio. Altre due colonne appartenenti a questo complesso termale furono usate nel 1666 da papa Alessandro VII per sostituirne altrettante danneggiate nell'angolo sinistro del pronao del Pantheon. Una ulteriore colonna di granito rosa trovata nella salita dei Cescenzi nel 1875 fu rialzata davanti alla breccia di Porta Pia in occasione del venticinquesimo anniversario della presa di Roma.
Di queste terme neroniane che dovevano essere assai sfarzose per la loro ricca decorazione rimane il ricordo in Marziale che non trovava nessuno peggiore di Nerone, ma niente meglio delle sue terme.


martedì 16 novembre 2010

La situazione della Tutela dei Beni Culturali in Italia.



Dopo il crollo della Domus dei Gladiatori di Pompei è noto che si sono susseguite polemiche su colpe e incompetenze, alimentando così ulteriormente la già scarsa reputazione, soprattutto internazionale, che l'Italia ha in merito alla tutela dei Beni Culturali. Ma a lasciare completamente allibiti, anche chi di restauri, conservazione e tutela dei beni culturali non ne mastica proprio, sono state le parole del Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali Andrea Carandini. In un'intervista rilasciata a Radio 1 il "Presidente" Carandini dice che il crollo è stato più un bene che un male, perchè a crollare è stato il restauro degli anni '40 che era stato eseguito con tecniche dell'epoca e perciò dannoso per l'edificio. Che sia stato dannoso, diciamo noi, sembra evidente, ma a questo punto sorge spontanea una domanda: ma il compito dei Beni Culturali non è quello di conservare i nostri beni, in questo caso archeologici, evitandone la rovina? Se sapevano che i restauri di più di 50 anni fa erano pericolosi per la stabilità dell'edificio non sarebbero dovuti intervenire per evitare le conseguenze poi avvenute? Che un "Presidente" dei Beni Culturali dichiari certe cose dimostra a mio avviso: che, nel suo caso, ancora non si è reso bene conto del ruolo in cui lo hanno messo, oppure, più in generale, che la tutela dei nostri beni è in mano a persone non professionalmente adatte e che in momenti come questo, come accade purtroppo e sempre in questo paese, nessuno, ma proprio nessuno, si prenda la responsabilità delle proprie azioni o, almeno, si assuma il compito di indicare i responsabili.


L'intervista a Carandini

giovedì 4 novembre 2010

La Colonna di Marco Aurelio

La Colonna di Marco Aurelio

Fu eretta in onore dell'imperatore Marco Aurelio dopo la sua morte, nel periodo compreso tra il 180 (anno della morte dell'imperatore) il 196 d.C. (anno in cui sappiamo da una iscrizione che Adrasto, custode della colonna, ottenne il permesso di servirsi delle impalcature di legno usate nella costruzione della colonna, per edificarsi una casa) e si trova ancora in piedi al centro di Piazza Colonna, a cui evidentemente ha dato il nome.
Originariamente il livello pavimentale su cui si appoggiava la colonna era più basso dell'attuale di circa 4 m. e comunque risultava rialzato (una sorta di grande platea) rispetto al livello della via Lata a cui era collegata probabilmente attraverso una scalinata.
Il basamento della colonna era in origine molto alto, circo 10,50 m. ed aveva decorazione con Vittorie che sostenevano festoni e una scena di sottomissione di barbari rivolta verso la via.
Tutto questo venne distrutto da Sisto V nel 1589, aiutato da Domenico Fontana, che rifece la base e identificando erroneamente la colonna con quella di Antonino Pio nell'iscrizione posta su di essa.
Il papa inoltre fece restaurare il fusto della colonna che presentava alcune lacune e mettere la statua di bronzo di S. Paolo sulla sommità (originariamente era qui collocata una statua bronzea di Marco Aurelio poi distrutta nel Medioevo).
L'altezza del fusto è di 29,60 m. (con la base 41,95 m.) ed è formato da 28 tamburi di marmo lunense sovrapposti. Inoltre all'interno venne scavato ottenendo una scala a chiocciola di 203 gradini, illuminata da 56 piccole finestre, che arriva fino alla sommità.
Sul fusto sono scolpite le immagini che ricordano le guerre sostenute da Marco Aurelio contro i Sarmati e i Marcomanni. Anche qui come nella Colonna Traiana, che è evidentemente il modello seguito, la narrazione si apre con il passaggio di un fiume, il Danubio, dell'esercito romano, seguono scene di battaglie e a metà la rappresentazione di una Vittoria divide due diversi episodi della guerra, riferibili agli anni 172-173 d.C. e agli anni 174-175 d.C.
A differenza dei rilievi della Colonna Traiana qui la raffigurazione è resa con maggiore profondità, con le figure più staccate dal fondo e si nota in tutta la composizione una spiccata tendenza alla schematizzazione.
Abbiamo notizie relative anche ad un tempio in onore di Marco Aurelio eretto da Commodo e sembra che questo edificio potesse trovarsi dietro la Colonna. Alcuni ritrovamenti in questa zona hanno infatti rivelato frammenti di soffitti e tegole marmoree riconducibili ad un edificio templare che potrebbe essere stato distrutto già nel Medioevo. Si Ipotizza inoltre in questa zona la presenza di un arco dedicato all'imperatore e i cui rilievi furono inseriti successivamente nell'Arco di Costantino.


martedì 2 novembre 2010

Il Teatro di Pompeo



Il teatro di Pompeo, il primo in muratura a Roma, fu iniziato ad essere costruito nel Campo Marzio nel 61 a.C. dopo il trionfo di Gneo Pompeo Magno e venne inaugurato nel 55 a.C. con grandiosi spettacoli offerti alla popolazione il cui ricordo è conservato negli scritti di molti autori antichi tra cui Cicerone.
La forma arrotondata della cavea del teatro può essere ancora oggi individuata nell'andamento curvo dei palazzi di via di Grottapinta, mentre il grande portico dietro la scena del teatro si estendeva fino a Largo Argentina. Si trattava del più grande edificio teatrale di Roma, di cui conosciamo la pianta conservata in un frammento della Forma Urbis severiana. La cavea con posti per almeno 20.000 persone aveva un diametro di 150 m., mentre la scena si sviluppava per una lunghezza di 90 m.
La struttura ad arcate era formata da pietra gabina e travertino, mentre la scena era costituita da tre esedre con colonne, le due laterali semicircolari e la centrale rettangolare. Sulla scena inoltre sappiamo che erano collocate delle statue raffiguranti le Muse ed Apollo, mentre altre 14 statue, eseguite dallo scultore Coponio, raffiguranti le nazioni sottomesse da Pompeo dovevano essere esposte nel vicino Ecatostylum (il portico dalle cento colonne).
Le statue della scena, di cui una conservata al Museo di Napoli e un'altra al Museo del Louvre, erano alte 4 m. La cavea era sovrastata da un tempio dedicato a Venere Vincitrice, nella zona del Palazzo Pio-Righetti, che si trovava ad una altezza di circa 45 m.
Al teatro era annesso un grande portico dietro la scena che misurava 180 x 135 m., ed era caratterizzato da una doppia file di colonne lungo i lati e dallo spazio centrale aperto che costituiva un vero e proprio parco pubblico con fontane, aiuole e boschetti di platani, le cui tracce sono state trovate sotto il Teatro Argentina. Al centro del lato minore opposto al teatro, adiacente ai templi di Largo Argentina, si trovava la Curia di Pompeo (i resti si vedono dietro il tempio B di Largo Argentina) sede di alcune riunioni del Senato e dove si trovava una grande statua di Pompeo sotto la quale avvenne l'assassinio di Cesare alle idi di marzo del 44 a.C. All'interno del portico trovavano posto numerose opere d'arte di pittori e scultori greci, come Policleto, Pausia, Nicia e Antifilo.
Il Teatro fu restaurato varie volte a partire da Augusto e fino al V secolo d.C., e sempre in seguito ad incendi che ne danneggiarono le strutture. I resti del teatro, con murature in opera reticolata, sono conservati nelle cantine dei moderni edifici della zone e in particolar modo in quelle di via del Biscione e di via di Grottapinta.

domenica 24 ottobre 2010

G.G. Belli e le antichità di Roma (4)


L’oche e li galli

Ar tempo de l’antichi, in Campidojjo,
dove che vvedi tanti piedestalli,
quell’ommini vestiti rossi e ggialli
c’ingrassaveno l’oche cor trifojjo.
Ecchete che ’na notte scerti galli
viengheno pe ddà a Roma un gran cordojjo:
ma ll’oche je sce messeno uno scojjo,
ché svejjorno un scozzone de cavalli.
Quell’omo, usscito co la rete in testa
e le mutanne sole in ne le scianche,
cacciò li galli e jje tajjò la cresta.
Pe cquesto caso fu che a ste pollanche
er gran Zenato je mutò la vesta,
ch’ereno nere, e vvorze fàlle bbianche.

Terni, 4 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

venerdì 15 ottobre 2010

Apertura dei sotterranei e del terzo anello del Colosseo






Ieri 14 ottobre 2010 c'è stata la conferenza stampa e la presentazione delle nuove aree visitabili del Colosseo: i sotterranei e la galleria del terzo anello superiore. Romarcheomania era presente e mostra le immagini suggestive di un monumento unico al mondo.
I nuovi percorsi vanno dalla Porta Libitinaria, fronte via Labicana, dove si potrà accedere a un’ampia porzione dei sotterranei, sottostante il piano dell’arena ricostruito nel 2000, per la prima volta aperti al pubblico, a parte del III livello, chiuso dagli anni ’70 del XX secolo. Da questo, posto a 33 metri circa dal livello della piazza, si potrà godere una splendida veduta e dell’area archeologica centrale e, in generale, di Roma: da Monte Mario all’Eur. I sotterranei, ove confluivano i gladiatori e gli animali e si svolgevano gli ultimi preparativi prima degli spettacoli, si conservano nelle condizioni in cui erano alla fine del V secolo d.C., quando furono interrati, e non hanno quindi subito alcuna manomissione dovuta a usi successivi, come avvenuto per la parte elevata dell’Anfiteatro. Un accurato lavoro di restauro e un sapiente impiego delle luci restituiscono l’atmosfera, un po’ cupa, ma di grande suggestione e impatto emotivo, dei luoghi ove per secoli transitarono migliaia di uomini e animali prima di affrontare la morte.
La Porta Libitinaria posta sul lato est del Colosseo, prende il nome dalla dea Libitína la divinità romana preposta agli onori che si tributavano ai morti. Infatti, da questa porta uscivano i cadaveri dei gladiatori uccisi nell'arena.
Gli Ipogei e le strutture sotterranee erano fondamentali per lo svolgimento dei giochi e delle cacce. Vi erano ospitati gli animali e i macchinari necessari a sollevare sull’arena i complessi apparati scenici che facevano da sfondo agli spettacoli.Rimangono le gabbie degli animali che con un sistema di montacarichi venivano portati al livello dell'arena.
IL III livello, unica galleria conservatasi integra, nella quale rimangono parte degli intonaci di rivestimento e i lucernai originali, collega il II con il III ordine dell'anfiteatro.

lunedì 11 ottobre 2010

Le Terme di Caracalla

Questo grandioso complesso termale venne costruito agli inizi del III secolo d.C. dall’imperatore Marco Aurelio Antonino Bassiano detto Caracalla e inaugurato per l’esattezza nel 216 d.C., ma i lavori proseguirono anche durante l’impero di Elagabalo e Alessandro Severo quando venne costruito il portico del recinto esterno e completata la decorazione, e dunque le terme possono considerarsi ultimate intorno al 235 d.C. Sono documentate successivamente fasi di restauro effettuate da Aureliano, in seguito ad un incendio, e da Diocleziano, con lavori di sistemazione dell’acquedotto (aqua Antoniniana) costruito da Caracalla per alimentare le sue terme. Gli ultimi restauri agli ambienti termali furono eseguiti da Teodorico e risalgono ai primi anni del VI secolo d.C., cioè pochi anni prima del definitivo abbandono delle terme avvenuto nel 537 d.C. in seguito al taglio degli acquedotti operato dai Goti di Vitige durante il loro assedio alla città.
A partire da questo periodo le terme divennero una delle più gandi cave di materiale pregiato di Roma. Nel XII secolo abbiamo notizia di alcuni capitelli riutilizzati nel Duomo di Pisa e nella chiesa di S. Maria in Trastevere, ma è nel XVI secolo che gran parte del complesso termale venne saccheggiato ad opera di papa Paolo III Farnese, che utilizzò i materiali tratti dagli scavi del 1545-1547 per la costruzione del suo palazzo nel Campo Marzio (Palazzo Farnese, oggi sede dell’Ambasciata di Francia). In questo periodo avvennero i ritrovamenti di maggior pregio e vennero scoperti, oltre alle opere considerate “minori”, il cosiddetto Toro Farnese (gruppo scultoreo che rappresenta il supplizio di Dirce), una statua di Flora (Flora Farnese) e l’Ercole Farnese (Ercole in riposo), tutte sculture che andarono ad arricchire la collezione della famiglia Farnese e che sono oggi conservate nel Museo Nazionele di Napoli.
Dopo questi sterri le terme continuarono a fornire pezzi pregiati che in continuazione vennero posti in opera nelle costruzioni moderne come nel caso della colonna di granito eretta in piazza Santa Trinità a Firenze nel 1561 proveniente dal frigidarium delle terme, e delle due grandi vasche di granito bigio riutilizzate in piazza Farnese a Roma nel 1612.
In seguito scavi sistematici del complesso furono intrapresi solo nel 1812 e proseguirono a più riprese fino alla prima metà del XX secolo, quando venne scoperto il grande mitreo nei sotterranei; infine, in tempi più recenti, le ultime indagini archeologiche e le sistemazioni dell’area archeologica sono state eseguite negli anni Ottanta e Novanta.
Le terme consistono di un corpo centrale (220 x 114 m.) posto al centro di un’area circondata da un recinto esterno (337 x 328 m.) costituito da un portico, dove si trovavano due piani di tabernae e di cui oggi rimangono scarse tracce visibili sul fronte nord, su via delle Terme di Caracalla. Ai lati est e ovest di questo recinto si aprono due grandi esedre ognuna con una sala absidata centrale e due ambienti minori alle sue estremità, mentre nel lato sud trova posto la grandiosa cisterna per la raccolta dell’acqua, che consisteva in 18 ambienti comunicanti coperti a volta per una capacità totale di circa 10.000 metri cubi. Addossata alla cisterna, ad impedirne la vista dall’impianto termale vero e proprio, si trova una gradinata che tradizionalmente viene riferita ad uno stadio, mentre forse è da interpretare come una cascata d’acqua che creava un suggestivo effetto scenografico. Ai lati di questa struttura due ambienti rettangolari sono stati identificati come biblioteche.
Un giardino separa il recinto esterno dal corpo centrale in cui si trovano gli ambienti termali, il cui accesso avveniva anticamente sul lato nord attraverso due vestiboli che conducevano a due spogliatoi adiacenti (apodyteria). A separare queste due strutture simmetriche si trova la grande vasca della natatio, la piscina scoperta. Seguendo il percorso antico si passa nelle palestre, due grandi ambienti simmetrici con abside posti alle estremità dell’edificio e caratterizzate dalla presenza di portici con colonne di giallo antico e da mosaici pavimentali policromi. Da qui si intraprendeva la serie dei bagni partendo dal calidarium, la sala circolare per i bagni caldi posta al centro dell’estremità meridionale, con grande vasca centrale e altre sei minori poste tra i pilastri che sostenevano la cupola di copertura. Proseguendo sull’asse centrale verso nord si entra poi nel tepidarium, fiancheggiato da due vasche, e quindi nella grande sala del frigidarium (58 x 24 m.), posta al centro di tutto il complesso, con i pilastri che sorreggevano le tre grandi volte a crociera e con le quattro vasche per i bagni di acqua fredda.
Interessante è anche il complesso dei sotterranei con i corridoi carrabili di servizio da cui dipendeva il completo funzionemento delle terme. In uno di questi sotterranei vicino all’esedra occidentale del recinto esterno venne impiantato verso la prima metà del III secolo d.C. uno dei più grandi mitrei rinvenuti fino ad oggi a Roma.

sabato 9 ottobre 2010

G.G.Belli e le antichità di Roma (3)


Li bbattesimi de l’anticajje

Su l’anticajja a Ppiazza Montanara
Ciànno scritto: Teatro de Marcello.
Bbisoggna avé ppancotto pe ccervello,
Pe ddí una bbuggiarata accusí rrara.

Dove mai li teatri hanno er modello
A uso d’una panza de callara?
Dove tiengheno mai quele filara
De parchetti de fora com’è cquello?

Pàssino un po’ da Palaccorda e Ppasce:
Arzino er nas’in zú, bbestie da soma:
Studino llí, e sse faccino capasce.

Quell’era un Culiseo, sori Cardei.
Sti cosi tonni com’er culo, a Rroma
Se sò ssempre chiamati Culisei.

22 giugno 1834

martedì 5 ottobre 2010

L'Ara Pacis

L’altare della pace di Augusto, votato il 4 luglio del 13 a.C. e dedicato il 30 gennaio del 9 a.C., fu ideato come monumento simbolo della propaganda imperiale con lo scopo di legare saldamente la figura dell’imperatore con la pacificazione del mondo allora conosciuto. L’ara venne eretta nel Campo Marzio settentrionale proprio sul limite del pomerium della città e il sito esatto del monumento era già conosciuto a partire dal 1568, quando furono scoperti nove frammenti della decorazione scultorea, mentre altre parti dell’altare vennero rinvenuti nel 1859. Ma soltanto nel 1879 questi frammenti ritrovati furono esattamente identificati e attribuiti all’Ara Pacis di Augusto. Le prime vere esplorazioni archeologiche al di sotto del Palazzo Fiano-Almagià furono intraprese nel 1903 e portarono alla scoperta della struttura dell’altare e di altri rilievi della decorazione, mentre la completa liberazione delle parti restanti del monumento avvenne negli anni 1937-1938, in occasione del bimillenario di Augusto. Nel 1938 si procedette quindi alla ricostruzione e al restauro dell’altare che però fu trasferito dalla sede originaria in un apposito padiglione costruito accanto al Mausoleo di Augusto, luogo dove ancora oggi è possibile ammirarlo all’interno della nuova sistemazione museale. L’Ara Pacis è interamente realizzata in marmo lunense e si struttura come un recinto quasi quadrato (11, 65 x 10,62 m.) su podio, al cui interno si trova l’altare vero e proprio. Il recinto, sui cui lati lunghi si aprono due porte, è diviso all’esterno in due parti, una inferiore con decorazione uguale sui quattro lati (girali di acanto che nascono da un cespo centrale), e una superiore con decorazione scultorea più originale. Infatti le porte di accesso all’altare sono inquadrate da pannelli decorativi con la rappresentazione di scene mitologiche e allegoriche: la rappresentazione del Lupercale (di cui rimangono scarsissimi resti) e il sacrificio di Enea ai Penati in presenza di suo figlio Iulo-Ascanio, mentre sul lato opposto si trova la rappresentazione allegorica della Pace in veste di donna con due bambini sul grembo e, nell’altro panello, la personificazione di Roma (di cui rimangono scarsissimi resti) seduta sopra una catasta di armi. I due lati brevi del recinto invece accolgono nella parte superiore la rappresentazione di una processione sacra dove sono raffigurati insieme alle cariche sacerdotali romane anche Augusto e i membri della famiglia imperiale in una disposizione che riflette un ordine rigorosamente gerarchico. Sul lato sud l’imperatore è stato immortalato nel momento del sacrificio circondato dai sacerdoti e dai suoi famigliari, tra i quali si possono riconoscere Agrippa (amico fidato dell’imperatore nonché suo genero), Giulia (figlia di Augusto) e Tiberio (futuro imperatore). Sul lato opposto il fregio, meno conservato, raffigura il resto della processione nella quale, probabilmente, sono da riconoscere le figure delle vedove della famiglia imperiale (molte teste furono rifatte durante il XVI secolo). Anche la parte interna delrecinto risulta essere decorata, anche qui in una parte inferiore, a imitazione di una palizzata di legno (ricordo del recinto originario), e una parte superiore, con bucrani, corone e patere. L’altare vero e proprio, rialzato di tre gradini su tutti i lati e di cinque sul lato ovest da cui si aveva accesso alla mensa, è anch’esso riccamente decorato. Sullo zoccolo si trovano infatti le rappresentazioni di personaggi femminili, forse da intendere come raffigurazioni delle province dell’impero. Nella parte superiore dell’altare invece si trovano girali che poggiano su leoni alati. Intorno alla mensa dove avveniva il sacrificio annuale si trova inoltre un piccolo fregio con la rappresentazione del sacrificio stesso (il suovetaurilia, cioè il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro) a cui partecipavano le vestali e il pontefice massimo.
L’Ara Pacis si presenta dunque come un monumento eclettico con motivi decorativi di diversa origine, evidenzia infatti rapporti con l’arte greca del periodo classico nella rappresentazione della processione della famiglia imperiale, una influenza dell’arte ellenistica che si manifesta specialmente nei pannelli di Enea e della Pace, e infine una tradizione più tipicamente romana documentata dal fregio sulla mensa. Con ogni probabilità la costruzione di questo monumento chiave dell’arte pubblica augustea si deve a botteghe greche.
La propaganda imperiale augustea che si manifestò in modo particolare nella costruzione di questo monumento segnò certamente la ricerca di consenso dei successivi imperatori, come nel caso spacifico di Nerone e Domiziano, sulle cui monete tornarono le raffigurazioni dell’altare della pace di Augusto proprio per sottolinare un legame ed un rimando al modello augusteo. È interessante inoltre sottolineare come nel II secolo d.C. in seguito al forte rialzamento del terreno in tutta l’area del Campo Marzio per preservare l’Ara Pacis venne creato tutto intorno al monumento un muro di contenimento che permise di continuare a vedere e conservare le splendide decorazioni scultoree che rendevano e rendono tuttora questo monumento uno dei più importanti elementi dell’arte romana.

martedì 28 settembre 2010

G.G. Belli e le antichità di Roma (2)

La Ritonna (Il Pantheon)

Sta cchiesa è ttanta antica, ggente mie,
che cce l’ha ttrova er nonno de mi’ nonna.
Peccato abbi d’avé ste porcherie
da nun essesce (1) bbianca una colonna!

Prima era acconzagrata a la Madonna
e cce sta scritto in delle lettanie:
ma doppo s’è cchiamata la Ritonna
pe ccerte storie che nun zò bbuscíe.

Fu un miracolo, fu; pperché una vorta
nun c’ereno finestre, e in concrusione
je dava lume er buscio de la porta.

Ma un Papa santo, che ciannò in priggione,
fesce una Croce; e ssubbito a la Vorta
se spalanco da sé cquell’occhialone. (2)

E ’r miracolo è mmóne (3)
ch’er muro cò cquer buggero de vôto,
se ne frega de sé (4) e dder terremoto.

Terni, 7 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

1 Esserci. 2 Credenza popolare. 3 Mo: ora. 4 Si ride di se stesso.

L'Anfiteatro Flavio (Colosseo)

 Ecco, dopo il sonetto di Belli, un po' di notizie sul Colosseo.
Il Colosseo fu costruito durante l’impero dei Flavi nella valle compresa tra Palatino, Oppio e Celio sancendo il ripristino dell’uso pubblico di questa vasta erea che in precedenza era stata sottratta alla cittadinanza da Nerone, il quale ne aveva fatto il centro della sua grandiosa Domus Aurea, con un lago artificiale circondato da immensi giardini.
Infatti prima della costruzione del grande anfiteatro i combattimenti tra gladiatori (munera) si svolsero per molto tempo nel Foro Romano e in edifici provvisori di legno costruiti occasionalmente, e il primo anfiteatro stabile in muratura fu costruito da Statilio Tauro nel Campo Marzio solo in epoca augustea.
Fu Vespasiano a iniziare i lavori per la costruzione dell’anfiteatro sul sito del lago neroniano e a fare una prima cerimonia dedicatoria dell’edificio quando ancora non era stato completato nel 79 d.C., ma soltanto durante l’impero di Tito si portarono a termine i lavori e l’Anfiteatro Flavio fu dedicato definitivamente per la seconda volta nell’80 d.C. con una grandiosa cerimonia e cento giorni di festa durante i quali nei combattimenti all’interno dell’arena furono uccise cinquemila belve. La decorazione dell’edificio e la rifinitura di tutti i suoi particolari avvenne solamente con Domiziano al quale deve essere attribuita probabilmente anche la costruzione dei sotterranei dell’arena, sotteranei che in precedenza non dovevano essere presenti se sono vere le notizie fornite dagli autori classici su alcune naumachie (battaglie navali) svolte nell’anfiteatro durante gli anni di principato di Vespasiano e Domiziano.
Costruito in massima parte di travertino e di forma ellittica con l’asse maggiore di 188 m. e quello minore di 156 m. l’Anfiteatro Flavio raggiunge l’imponente altezza di 52 m., al suo interno poteva ospitare circa 87.000 persone. L’anello esterno è composto da quattro ordini sovrapposti, i primi tre con arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche al primo piano, ioniche al secondo e corinzie al terzo. Il quarto ordine, alla sommità dell’edificio, e costituito da una parete con lesene corinzie che scandiscono ottanta riquadri all’interno dei quali si aprono a intervalli regolari quaranta finestre quadrate. Su questo attico sono ancora visibili i fori e alcune mensole che servivano per alloggiare le travi di sostegno del velario che serviva per riparare gli spettatori dal sole. A manovrare l’enorme telo e le relative funi che ne dovevano regolare il funzionamento era addetta una squadra di marinai chiamati dal porto del Miseno e stabilmente alloggiata nei pressi dell’anfiteatro nei Castra Misenatium.
All’esterno l’area di rispetto dell’edificio era delimitata da una serie di cippi di travertino, concentrici all’anfiteatro, e ancora oggi ne rimangono alcuni inseriti nella pavimentazione originale. Gli spettatori muniti di una tessera numerata per assistere agli spettacoli potevano accedere alle gradinate interne attraverso settantasei delle ottanta arcate totali di ingresso. Sulla chiave di volta di queste arcate infatti si possono ancora leggere i numeri che, presenti anche sulle tessere distribuite gratuitamente agli spettatori, permettevano la regolare affluenza nei giorni degli spettacoli. Le quattro arcate corrispondenti alle estremità degli assi dell’edificio costituivano gli ingressi privilegiati per senatori, sacerdoti e magistrati, e l’unica di queste arcate conservata, quella settentrionale che rivela anche tracce di un piccolo portico ad essa connesso, doveva probabilmente costituire l’ingresso al palco imperiale che doveva trovarsi al centro del lato nord della cavea.
L’interno dell’anfiteatro ospitava cinque settori di gradinate sovrapposti (maeniana) e in ognuno di questi settori trovavano posto determinate categorie di persone divise in base al rango sociale. Nel primo settore, più vicino all’arena, sedevano i senatori, con posti personali (rivelati da iscrizioni con alcuni nomi) su gradinate di marmo, seguiti subito dopo dai cavalieri. Quindi nei tre settori successivi si sistemava il resto della popolazione sempre seguendo gerarchie sociali, ed infine nell’ultimo settore, considerato il peggiore e costruito in legno sotto un colonnato alla sommità dell’anfiteatro, trovavano posto le donne.
Queste gradinate poggiano sopra pilastri e volte a botte che al piano terra formano cinque corridoi concentrici, mentre il rapido deflusso degli spettatori era regolato da un complesso sistema di scalinate. L’analisi dell’edificio ha rivelato la presenza di uno scheletro portante, costituito da pilastri di travertino collegati da archi in muratura e dalle volte su cui poggiano i diversi settori della cavea, che ha permesso la rapida conclusione dei lavori con la possibilità di alzare i muri riempitivi tra i pilastri contemporaneamente al piano inferiore, in blocchi di tufo, e in quello superiore, in muratura.
Al centro dell’anfiteatro l’arena concentrava su di sé l’attenzione degli spettatori che spesso assistevano meravigliati all’improvvisa apparizione di scenografie, gladiatori e animali, protagonisti dei combattimenti o delle cacce (venationes). Infatti il piano dell’arena doveva essere costituito da una struttura mista di muratura e legno o da un tavolato ligneo in cui si aprivano delle botole attraverso le quali venivano issati, con un sistema di montacarichi, gli elementi scenografici e i protagonisti dei combattimenti. I corridoi che compongono i sotterranei dell’arena ospitavano tutti i macchinari (carrucole, montacarichi e rampe inclinate) che servivano per il regolare svolgimento degli spettacoli, e inoltre il corridoio centrale maggiore consentiva un accesso nascosto e diretto, verso est, con la grande caserma dei gladiatori, il Ludus Magnus.
Interessato da numerosi interventi di restauro nel corso dei secoli da parte degli imperatori l’Anfiteatro Flavio una volta aboliti definitivamente i combattimenti tra gladiatori nel V secolo d.C. iniziò la sua fase di declino, divenendo nel Medioevo sede della famiglia dei Frangipane. Seguirono numerose spoliazioni di materiale, come il recupero delle grappe metalliche delle murature attraverso i numerosi buchi tra i blocchi ancora visibili, e l’utilizzazione dell’anfiteatro come vera e propria cava di materiale, soprattutto travertino, per costruzioni moderne, tra cui il Palazzo Barberini nel 1634 e il Porto di Ripetta nel 1703.
Ancora oggi e dopo tanti secoli l’Anfiteatro Flavio, che solo dall’VIII secolo prese il nome di Colosseo per la vicinanza della statua colossale di Helios detta Colossus, colpisce il visitatore per la sua maestosità ed imponenza, caratteristiche che hanno portato ad indicare questo monumento come il simbolo stesso di Roma e che hanno ispirato la famosa e suggestiva profezia formulata nell’VIII secolo dal Venerabile Beda: “Fino a che starà in piedi il Colosseo anche Roma starà i piedi; quando cadrà il Colosseo anche Roma cadrà; quando cadrà Roma cadrà il mondo.”

G.G. Belli e le antichità di Roma

G.G. Belli

RIFRESSIONE IMMORALE SUR CULISEO

St'arcate rotte c'oggi li pittori
Viengheno a ddiseggnà cco li pennelli,
Tra ll'arberetti, le crosce, li fiori,
Le farfalle e li canti de l'uscelli,

A ttempo de l'antichi imperatori
Ereno un fiteatro, indove quelli
Curreveno a vvedé li gradiatori
Sfracassasse le coste e li scervelli.

Cqua llòro se pijjaveno piascere
De sentì ll'urli de tanti cristiani
Carpestati e sbranati da le fiere.

Allora tante stragge e ttanto lutto,
E adesso tanta pasce! Oh avventi umani!
Cos'è sto monno! Come cammia tutto!

4 settembre 1835

lunedì 27 settembre 2010

Il Foro Romano

Iniziamo con il cuore pulsante di Roma e dell'impero.
Il Foro Romano ha rappresentato nella storia di Roma oltre che il centro geografico della città anche e soprattutto il centro della vita politica e civile specialmente durante il periodo repubblicano. Qui si svolgevano le assemblee dei cittadini, le sedute del senato e il mercato, inoltre vi si amministrava la giustizia e, almeno fino all’età augustea, qui si svolgevano anche i combattimenti dei gladiatori. Era dunque il luogo dove venivano prese le decisioni riguardo tutta la politica dell’Impero e può a ragione essere considerato come il vero e proprio cuore pulsante del mondo romano.
Ma prima di diventare il centro vitale di Roma altra era la sua natura. Originariamente infatti la zona del Foro, compresa tra le alture del Palatino e del Campidoglio, doveva presentarsi come una valle paludosa attraversata da un corso d’acqua, il Velabro. La prima forma di utilizzazione di questa valle fu di natura funeraria, come attestato dei risultati degli scavi archeologici eseguiti nella zona adiacente al tempio di Antonino e Faustina che hanno rivelato la presenza di una necropoli cronologicamente compresa tra il IX e il VII secolo a.C. e da ritenere pertinente ai centri abitati posti sulle alture dei colli circostanti.
La prima trasformazione avviene intorno al 600 a.C., quando si esegue per la prima volta la pavimentazione del Foro nel momento stesso in cui cessa l’utilizzazione della necropoli e la valle, prima esterna agli abitati vista la sua utilizzazione funeraria, diventa parte di un unico centro nato dall’unione dei precedenti villaggi testimoniando di conseguenza l’avvenuta espansione della primitiva Roma Quadrata sul Palatino. La tradizione romana riporta la pavimentazione del Foro sotto la dinastia dei Tarquini, la cui opera permise la completa utilizzazione della valle sopratutto grazie al sistema di drenaggio con fognature e in primo luogo con la costruzione della grandiosa Cloaca Maxima di cui ancora oggi si conserva il percorso.
Dopo questa sistemazione comincia lo sviluppo monumentale del Foro, ma secondo la tradizione già in precedenza sorsero qui edifici importanti per la storia di Roma, come la Regia, la dimora del re, la cui costruzione è dagli autori classici attribuita a Numa Pompilio, e la quale doveva formare un complesso unitario insieme al tempio di Vesta, uno dei più antichi ed importanti santuari di Roma, e alla Casa delle Vestali.
Nel VI secolo a.C. venne costruito il Comitium nella zona nord del Foro, un’area circolare con sedili che fu il primo luogo di assemblea dei cittadini, collegato con la Curia Hostilia, la prima sede del Senato. Doveva far parte di questo antico complesso del Comitium probabilmente anche il Lapis Niger, cioè quel settore del Foro pavimentato in marmo nero e delimitato da transenne di marmo bianco (ancora conservato di fronte la Curia Iulia) che le fonti indicano come tomba di Romolo e come luogo funesto, e che, al di sotto della particolare pavimentazione, conserva parte di un complesso databile al VI secolo a.C. in cui risalta la presenza di un cippo con iscrizione bustrofedica in latino arcaico.
Nel V secolo a.C. vengono costruiti il tempio di Saturno (498 a.C.) alle pendici del Campidoglio, di cui oggi rimangono il podio e le otto colonne della facciata e che fu anche la sede dell’Erario, e il tempio dei Càstori (484 a.C.) di cui si vedono l’alto podio e le tre colonne corinzie superstiti ad est del Vicus Tuscus.
Successivamente soltanto dopo l’incendio dei Galli del 390 a.C. si ha la ripresa di una intensa attività edilizia al’interno del Foro, in particolare con la costruzione del tempio della Concordia (367 a.C.) ai piedi del Campidoglio, edificato in occasione della fine delle lotte tra patrizi e plebei, e di cui rimane solo parte del podio. Ma la vera monumentalizzazine del Foro avvenne solamente in seguito alla conclusione delle guerre puniche, tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., cioè quando Roma aveva esteso ormai il suo dominio sul Mediterraneo. Nel II secolo a.C. vengono costruite ben quattro basiliche, la Porcia, l’Emilia, la Sempronia e l’Opimia, ma una particolare importanza topografica avevano tra queste la basilica Emilia (unica superstite delle basiliche repubblicane) e la Sempronia (che sorgeva dove sarà più tardi costruita la Basilica Giulia) che regolarizzarono rispettivamente il lato nord e il lato sud della piazza del Foro.
Nel I secolo a.C. si creò un fondale monumentale sul Campidoglio con la costruzione in età sillana del Tabularium, ma la trasformazione più segnificativa del Foro Romano avvenne con Cesare che già dal 54 a.C. cominciò lavori di ampliamento della piazza verso nord, quando iniziò la costruzione del Foro di Cesare. Scomparve così il Comitium e fu costruita la nuova sede del senato, la Curia Iulia, mentre sul versante opposto venne edificata l’imponente Basilica Giulia, al posto della più antica basilica Sempronia.
Con Augusto la sistemazione del Foro si completa nel 29 a.C. con la fine dei lavori iniziati da Cesare e l’inaugurazione dei nuovi edifici come il tempio del divo Giulio, in onore di Cesare divinizzato dopo la morte, che regolarizzò il lato est della piazza, e la tribuna dei Rostra sul lato opposto. Fu inoltre monumentalizzato anche l’ingresso alla piazza sul lato orientale con l’arco Partico e l’arco Aziaco, rispettivamente a nord e a sud del tempio del divo Giulio.
Con la fine della repubblica il Foro Romano perde la sua funzione di centro politico del mondo romano, ma conserva la sua funzione di rappresentanza e nei secoli seguenti ospiterà monumenti ed edifici destinati ad esaltare la figura degli imperatori. Così verranno costruiti il tempio di Vespasiano e Tito, il tempio di Antonino e Faustina e l’imponente arco di Settimio Severo. Quindi gli edifici non trovando più spazio nell’area ristretta del Foro Romano vero e proprio saranno costruiti nella zona più ad est, seguendo il percorso della via sacra, come l’arco di Tito, il tempio di Venere e Roma, la basilica di Massenzio e il tempio di Romolo. L’ultimo monumento eretto nel Foro è la Colonna di Foca, alzata al centro della piazza nel 608 d.C., e dopo questa data tutta l’area verrà gradualmente abbandonata e subirà un notevole interro nel corso dei secoli successivi. Gli unici edifici a salvarsi dall’oblio furono quelli riutilizzati e trasformati nel Medioevo in chiese cristiane, come la Curia Iulia che divenne la chiesa di S. Adriano, il tempio di Antonino e Faustina che fu adattato per ospitare la chiesa di S. Lorenzo in Miranda, il tempio di Romolo trasformato nela chiesa dei Santi Cosma e Damiano e una sala del palazzo imperiale ai piedi del Palatino dove fu sistemata S. Maria Antiqua. Gli altri edifici caddero in rovina e in gran parte furono depredati dei loro materiali, riutilizzati in altre costruzioni soprattutto durante il Rinascimento quando servirono per la costruzione della nuova Basilica di S. Pietro. Anche il nome stesso di Foro scomparve e tutta la zona del Foro venne chiamata Campo Vaccino, visto che ormai vi pascolavano i buoi. Dopo molti secoli soltanto alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento il Foro Romano sarebbe tornato alla luce grazie agli scavi archeologici che permisero la liberazione di tutta l’area e dunque la riscoperta del cuore dell’antica Roma.

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