L'area sacra di Largo Argentina venne alla luce durante i lavori di demolizione degli edifici compresi tra l'attuale Corso Vittorio Emanuele e via Florida negli anni tra il 1926 e il 1928. Quattro templi repubblicani caratterizzano quest'area e fin dal momento della loro scoperta vennero denominati con le prima quattro lettere dell'alfabeto, da nord a sud rispettivamente A, B, C, e D, e furono costruiti in un arco di tempo che va dall'inizio del III secolo a.C. alla fine del II secolo a.C. Tre di questi furono costruiti sull'originario piano di campagna del Campo Marzio (templi C, A e D) e tutti avevano un'area esterna antistante leggermente sopraelevata dove sorgevano gli altari per il sacrificio. Nella seconda metà del II secolo a.C. questi tre templi vennero uniti all'interno di un'area comune dalla creazione di una pavimentazione in tufo che rialzò il livello del terreno di 1,40 m. rispetto al piano di campagna originario. La datazione di questa pavimentazione in tufo è indicata dal fatto che essa andò a ricoprire e sigillare l'altare davanti al tempio C, altare non originario ma probabilmente un rifacimento, su cui compare il nome di Aulo Postumio Albino console nel 155 a.C. È chiaro che la nuova pavimentazione sia stata fatta dopo tale data e forse in seguito all'incendio del 111 a.C. che devastò gran parte del Campo Marzio. Con la creazione del pavimento in tufo, che è ancora possibile vedere in vari punti dell'area archeologica, i podi dei primi tre templi vennero tagliati a metà e adattati alla nuova sistemazione. Subito dopo questa trasformazione, nello spazio compreso tra il tempio C e il tempio A venne costruito il tempio B che, come si può vedere ancora agevolmente, poggia sul pavimento in tufo e deve dunque essere cronologicamente posteriore ad esso e riconducibile alla fine del II secolo a.C. Con la creazione del quarto tempio avvenne la definitiva unificazione dell'area sacra che dovette inoltre essere circondata da un portico. Il pavimento in lastre di travertino che è ancora oggi possibile vedere all'interno dell'area venne realizzato sopra la pavimentazione in tufo nella prima età imperiale ad opera di Domiziano, il quale restaurò anche gran parte dei quattro templi probabilmente in seguito all'incendio dell'80 d.C. Un ulteriore livello di pavimentazione sempre in travertino, e di cui non rimane oggi nessuna traccia, venne successivamente costruita al di sopra del pavimento domizianeo in età tardo-antica.
Il primo ad essere stato costruito è il tempio C. Presenta un podio in opera quadrata di tufo alto 4,25 m. con modanatura di tipo arcaico e nel complesso misura 30,5 m.di lunghezza per 17,1 m. di larghezza. Sulla fronte dovevano essere quattro colonne, cinque sui lati. La cella, in opera laterizia, aveva la pavimentazione in mosaico bianco con riquadratura nera, e documenta il restauro di età domizianea, così come le basi delle colonne in travertino. Il podio è preceduto da una scalinata che in origine doveva avere venti gradini, sostituiti poi dai cinque gradini in travertino in relazione con la nuova pavimentazione domizianea. Davanti al tempio al di sotto della pavimentazione in tufo si conserva l'altare con iscrizione dove si trova il nome di Aulo Postumio Albino console del 155 a.C. Questo tempio viene ormai comunemente identificato con il tempio di Feronia, divinità italica la cui introduzione a Roma avvenne nel III secolo a.C. probabilmente ad opera di M. Curio Dentato che potrebbe anche aver fatto costruire il tempio a questa divinità dopo il 290 a.C., cioè all'indomani la sua vittoria sui Sabini e la conquista del loro territorio.
Il secondo edificio in ordine cronologico ad essere costruito è il tempio A. Può essere datato alla metà del III secolo a.C. ed è il tempio che subì nel corsi dei secoli le più radicali trasformazioni. Originariamente doveva essere prostilo ed esastilo (cioè con sei colonne sulla fronte) e un primo intervento di modifica lo subì verso la fine del II secolo a.C. quando venne innalzato e ingrandito il podio, che inglobò quello più piccolo precedente. Lo stato attuale è forse dovuto ad una sistemazione appartenente al periodo di Pompeo o di Agrippa e si presenta come un tempio periptero, con colonne di tufo e capitelli in travertino, mentre le due colonne in travertino oggi visibili sono dovute al restauro successivo di età domizianea. Al di sotto del pavimento in travertino nell'area antistante si conservano i nuclei di due altari, uno sull'altro, relative alle fasi più antiche del tempio. Questo edificio venne occupato nell'VIII secolo d.C. dalla chiesa di S.Nicola de Calcarariis o de' Cesarini di cui rimangono testimonianze negli affreschi delle due absidi costruite all'interno dell'antica cella, in un cippo-altare databile al XII secolo e nella cripta semianulare. L'adattamento a chiesa ha permesso comunque la conservazione dei colonnati laterali mentre ha invece compromesso tutta l'area della cella e del pronao dell'antico tempio. Sembra comunque comunemente accettata l'identificazione con il tempio di Giuturna costruito da Q. Lutatio Catulo nel 241 a.C. dopo la sua vittoria nella battaglia delle Isole Egadi contro i Cartaginesi durante la prima guerra punica. A sostegno di questa proposta identificativa dell'edificio sembra essere una notizia contenuta nei "Fasti" di Ovidio, dove il tempio di Giutura è indicato vicino allo sbocco dell'aqua Virgo e cioè vicino alle Terme di Agrippa che sappiamo essere a nord dell'area sacra di Largo Argentina. Il tempio A è sicuramente il più vicino ad esse e per questo motivo sembra, ad oggi, essere quello che meglio risponde all'identificazione con il santuario di Giuturna.
Ultimo in ordine di tempo è il tempio B, il secondo da nord, che si differenzia dagli altri templi per la sua pianta circolare. Come indicato in precedenza questo edificio sacro venne eretto soltanto verso la fine del II secolo a.C. sulla pavimentazione in tufo della seconda metà del II secolo a.C. Il tempio venne originariamente costruito con alto podio (h. 2,5 m.) in blocchi di tufo preceduto da una gradinata anch'essa in tufo, mentre sopra il podio era un cella cilindrica circondata da colonne (ne rimangono 6) in tufo con capitelli e basi in travertino. In un secondo momento la cella venne demolita e vennero murati gli intercolumni della peristasi con muratura laterizia che lasciava però sporgere le colonne sia verso l'interno che verso l'esterno a modo di semicolonne. La pavimentazione della cella così ingrandita venne rifatta con un mosaico pavimentale, e venne ulteriormente ingrandito il podio. Un ultimo intervento edilizio si deve a Domiziano che coprì definitivamente verso l'esterno le colonne, che rimasero visibili soltanto all'interno della cella, ricoprì l'originaria scalinata con una nuova in travertino rifacendo allo stesso tempo una nuova ara (di cui rimane il nucleo) nella parte antistante il tempio e interrando in maniera parziale il podio che venne decorato con una cornice di base in travertino. Il tempio B di Largo Argentina è l'unico che sembra potersi identificare con certezza con il tempio della Fortuna Huiusce Diei (la "Fortuna di questo giorno") fondato da Q. Lutatio Catulo console nel 101 a.C. insieme a Mario, dopo la vittoria conseguita il 30 giugno di quell'anno nella battaglia di Vercelli contro i Cimbri. La sicurezza di tale identificazione viene dal ritrovamento nell'area compresa tra il tempio B e C dei resti in marmo bianco di Paros di un acrolito (statua con parti nude in marmo e parti vestite in metallo), consistenti in una testa colossale femminile alta 1,50 m. insieme con un braccio e due piedi. Si tratta dunque della statua di culto del tempio B che dagli storici dell'arte antica è stata considerata come uno dei rari esempi di opera d'arte ellenistica elaborata per un monumento romano ed è stata datata intorno agli anni tra il 100 e il 95 a.C. Suggestiva l'ipotesi che vedrebbe in Scopas minore, artista che sappiamo operativo in quegli anni, l'artefice di questa colossale scultura, i cui resti sono conservati nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini (ora spostati nella sede delle Centrale Montemartini).
Altri resti visibili al'interno dell'area sacra di Largo Argentina sono parte del portico che doveva cingere i quattro templi (la porticus Minucia Vetus) conservato sul lato nord in prossimità del tempio A, portico che era addossato ad una analoga struttura più grande conosciuta con il nome di Hecatistylum, ossia il portico dalle cento colonne, che si trova sotto il limite settentrionale dell'area archeologica. Dietro il tempio A si trovano i resti di una monumentale latrina pubblica (forica) costruita in età imperiale, ed una analoga struttura troviamo anche dietro il tempio C. Tra queste due latrine e proprio alle spalle del tempio rotondo B si trovano i resti di un grande podio in opera quadrata di tufo, appartenenti alla Curia di Pompeo, luogo famoso per essere stato lo scenario in cui il 15 marzo del 44.C. venne ucciso Giulio Cesare.
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