martedì 28 settembre 2010

L'Anfiteatro Flavio (Colosseo)

 Ecco, dopo il sonetto di Belli, un po' di notizie sul Colosseo.
Il Colosseo fu costruito durante l’impero dei Flavi nella valle compresa tra Palatino, Oppio e Celio sancendo il ripristino dell’uso pubblico di questa vasta erea che in precedenza era stata sottratta alla cittadinanza da Nerone, il quale ne aveva fatto il centro della sua grandiosa Domus Aurea, con un lago artificiale circondato da immensi giardini.
Infatti prima della costruzione del grande anfiteatro i combattimenti tra gladiatori (munera) si svolsero per molto tempo nel Foro Romano e in edifici provvisori di legno costruiti occasionalmente, e il primo anfiteatro stabile in muratura fu costruito da Statilio Tauro nel Campo Marzio solo in epoca augustea.
Fu Vespasiano a iniziare i lavori per la costruzione dell’anfiteatro sul sito del lago neroniano e a fare una prima cerimonia dedicatoria dell’edificio quando ancora non era stato completato nel 79 d.C., ma soltanto durante l’impero di Tito si portarono a termine i lavori e l’Anfiteatro Flavio fu dedicato definitivamente per la seconda volta nell’80 d.C. con una grandiosa cerimonia e cento giorni di festa durante i quali nei combattimenti all’interno dell’arena furono uccise cinquemila belve. La decorazione dell’edificio e la rifinitura di tutti i suoi particolari avvenne solamente con Domiziano al quale deve essere attribuita probabilmente anche la costruzione dei sotterranei dell’arena, sotteranei che in precedenza non dovevano essere presenti se sono vere le notizie fornite dagli autori classici su alcune naumachie (battaglie navali) svolte nell’anfiteatro durante gli anni di principato di Vespasiano e Domiziano.
Costruito in massima parte di travertino e di forma ellittica con l’asse maggiore di 188 m. e quello minore di 156 m. l’Anfiteatro Flavio raggiunge l’imponente altezza di 52 m., al suo interno poteva ospitare circa 87.000 persone. L’anello esterno è composto da quattro ordini sovrapposti, i primi tre con arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche al primo piano, ioniche al secondo e corinzie al terzo. Il quarto ordine, alla sommità dell’edificio, e costituito da una parete con lesene corinzie che scandiscono ottanta riquadri all’interno dei quali si aprono a intervalli regolari quaranta finestre quadrate. Su questo attico sono ancora visibili i fori e alcune mensole che servivano per alloggiare le travi di sostegno del velario che serviva per riparare gli spettatori dal sole. A manovrare l’enorme telo e le relative funi che ne dovevano regolare il funzionamento era addetta una squadra di marinai chiamati dal porto del Miseno e stabilmente alloggiata nei pressi dell’anfiteatro nei Castra Misenatium.
All’esterno l’area di rispetto dell’edificio era delimitata da una serie di cippi di travertino, concentrici all’anfiteatro, e ancora oggi ne rimangono alcuni inseriti nella pavimentazione originale. Gli spettatori muniti di una tessera numerata per assistere agli spettacoli potevano accedere alle gradinate interne attraverso settantasei delle ottanta arcate totali di ingresso. Sulla chiave di volta di queste arcate infatti si possono ancora leggere i numeri che, presenti anche sulle tessere distribuite gratuitamente agli spettatori, permettevano la regolare affluenza nei giorni degli spettacoli. Le quattro arcate corrispondenti alle estremità degli assi dell’edificio costituivano gli ingressi privilegiati per senatori, sacerdoti e magistrati, e l’unica di queste arcate conservata, quella settentrionale che rivela anche tracce di un piccolo portico ad essa connesso, doveva probabilmente costituire l’ingresso al palco imperiale che doveva trovarsi al centro del lato nord della cavea.
L’interno dell’anfiteatro ospitava cinque settori di gradinate sovrapposti (maeniana) e in ognuno di questi settori trovavano posto determinate categorie di persone divise in base al rango sociale. Nel primo settore, più vicino all’arena, sedevano i senatori, con posti personali (rivelati da iscrizioni con alcuni nomi) su gradinate di marmo, seguiti subito dopo dai cavalieri. Quindi nei tre settori successivi si sistemava il resto della popolazione sempre seguendo gerarchie sociali, ed infine nell’ultimo settore, considerato il peggiore e costruito in legno sotto un colonnato alla sommità dell’anfiteatro, trovavano posto le donne.
Queste gradinate poggiano sopra pilastri e volte a botte che al piano terra formano cinque corridoi concentrici, mentre il rapido deflusso degli spettatori era regolato da un complesso sistema di scalinate. L’analisi dell’edificio ha rivelato la presenza di uno scheletro portante, costituito da pilastri di travertino collegati da archi in muratura e dalle volte su cui poggiano i diversi settori della cavea, che ha permesso la rapida conclusione dei lavori con la possibilità di alzare i muri riempitivi tra i pilastri contemporaneamente al piano inferiore, in blocchi di tufo, e in quello superiore, in muratura.
Al centro dell’anfiteatro l’arena concentrava su di sé l’attenzione degli spettatori che spesso assistevano meravigliati all’improvvisa apparizione di scenografie, gladiatori e animali, protagonisti dei combattimenti o delle cacce (venationes). Infatti il piano dell’arena doveva essere costituito da una struttura mista di muratura e legno o da un tavolato ligneo in cui si aprivano delle botole attraverso le quali venivano issati, con un sistema di montacarichi, gli elementi scenografici e i protagonisti dei combattimenti. I corridoi che compongono i sotterranei dell’arena ospitavano tutti i macchinari (carrucole, montacarichi e rampe inclinate) che servivano per il regolare svolgimento degli spettacoli, e inoltre il corridoio centrale maggiore consentiva un accesso nascosto e diretto, verso est, con la grande caserma dei gladiatori, il Ludus Magnus.
Interessato da numerosi interventi di restauro nel corso dei secoli da parte degli imperatori l’Anfiteatro Flavio una volta aboliti definitivamente i combattimenti tra gladiatori nel V secolo d.C. iniziò la sua fase di declino, divenendo nel Medioevo sede della famiglia dei Frangipane. Seguirono numerose spoliazioni di materiale, come il recupero delle grappe metalliche delle murature attraverso i numerosi buchi tra i blocchi ancora visibili, e l’utilizzazione dell’anfiteatro come vera e propria cava di materiale, soprattutto travertino, per costruzioni moderne, tra cui il Palazzo Barberini nel 1634 e il Porto di Ripetta nel 1703.
Ancora oggi e dopo tanti secoli l’Anfiteatro Flavio, che solo dall’VIII secolo prese il nome di Colosseo per la vicinanza della statua colossale di Helios detta Colossus, colpisce il visitatore per la sua maestosità ed imponenza, caratteristiche che hanno portato ad indicare questo monumento come il simbolo stesso di Roma e che hanno ispirato la famosa e suggestiva profezia formulata nell’VIII secolo dal Venerabile Beda: “Fino a che starà in piedi il Colosseo anche Roma starà i piedi; quando cadrà il Colosseo anche Roma cadrà; quando cadrà Roma cadrà il mondo.”

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