martedì 5 giugno 2012

Ponte Milvio

Situato al terzo miglio della via Flaminia è il ponte più antico ancora in uso a Roma. La sua costruzione risale probabilmente al IV secolo a.C. (qualche studioso tende a datarlo addirittura al Vi secolo a.C.) subito dopo la presa di Veio del 396 a.C., come ponte dell'antica via Veientana. In seguito su Ponte Milvio passeranno ben quattro strade: la via Veientana, la via Cassia, la via Clodia e la via Flaminia. Probabilmente, come il più antico ponte Sublicio, anche questo doveva essere di legno o almeno con i piloni in muratura e la passerella lignea.
Pons Mulvius, questo il nome del ponte romano, venne probabilmente costruito da un censore della gens Mulvia del IV secolo a.C., ma la prima menzione nelle fonti letterarie romane la troviamo in un passo di Livio (XXVII, 51, 1-2) che vede il ponte come scenario principale in cui il popolo romano accorse per apprendere la notizia della vittoria nella battaglia del Metauro, e della morte di Asdrubale, nel 207 a.C., durante la seconda guerra punica. Altra indicazione importante è relativa all'anno 109 a.C. quando sappiamo che il ponte venne rifatto dal censore Marco Emilio Scauro.  Questa ricostruzione doveva essere talmente solida che Augusto non fu costretto a restauralo quando rifece tutta la vi Flaminia e i suoi ponti durante il suo impero, ma probabilmente lo arricchì con un arco e una sua statua, che trovò il suo corrispettivo alla fine della via Flaminia nella città di Ariminum (odierna Rimini).


Ponte Milvio in un disegno di Vasi.

Molti gli avvenimenti che si svolsero sul ponte o nei suoi dintorni: 
 - nei giorni tesissimi della congiura di Catilina, Cicerone fece appostare suoi uomini sul ponte e in alcune ville vicine per tendere un agguato e far arrestare delegati dei Galli Allobrogi che si trovavano a Roma per stringere un patto con alcuni congiurati. Nelle loro mani venne trovato un accordo che sanciva l'aiuto nella congiura da parte dei Galli in cambio dell'indipendenza. Patto sancito da firme di alcuni membri della congiura, che il giorno dopo, quando Cicerone pronunciò in senato la terza catlinaria, vennero arrestati e poi strangolati in carcere senza subire un regolare processo, atto questo di cui Cicerone venne sempre accusato.
 - nelle taberne malfamate che si trovavano intorno a Ponte Milvio sappiamo che era solito girare Nerone in cerca di emozioni forti e risse, e qualcuno inoltre tramanda che qui vicino morì incinta Poppea, moglie dell'imperatore, dopo essere stata aggredita con un calcio al ventre.
 - il ponte fu inoltre teatro degli scontri tra Otone e Vitellio nel 69 d.C. e ancora fece da scenario all'ingresso trionfale di Settimio Severo e delle sue truppe nel 193 d.C.
 - nel 312 d.C. qui si svolse la vicenda finale della famosa battaglia di Ponte Milvio, combattuta tra Massenzio e Costantino. Gli antichi conoscevano questa come la battaglia di Saxa Rubra, poichè lo scontro tra i due eserciti ebbe luogo in quella località dopo il quinto miglio della via Flaminia e solo dopo la ritirata delle truppe di Massenzio, inseguite da quelle di Costantino, l'esito dello scontro trovò il suo epilogo a Ponte Milvio dove l'imperatore Massenzio nel tentativo di attraversare proprio il ponte cadde nel tevere e annegò appesantito dalla corazza e dalle armi. secondo le fonti che narrano gli avvenimento il ponte sarebbe stato tagliato prorio da Massenzio e reso agibile solo con passerelle di legno, che non ressero il peso delle truppe in ritirata. La vittoria di Costantino, che la notte precedente avrebbe avuto una visione nel cielo di una croce con le parole in hoc signo vinces, portò, l'anno successivo alla proclamazione dell'editto di Milano in cui si sanciva la libertà di culto dei cristiani. La leggenda del segno divino inviato a Costantino riecheggia nell'iscrizione del suo arco vicino al Colosseo dove compaiono le parole istinctu divinitatis (= per ispirazione divina).
- dal tardo impero in poi il ponte inizia la sua vita di baluardo difensivo della città di Roma. Già con la guerra gotica viene fortificato dal generale Belisario, 536 d.C., con una torre difensiva in legno per respingere l'attacco dell'esercito nemico e proprio a apartire dal VI secolo d.C. venne ulteriormente difeso con la presenza di due ponti levatoi al posto dalle arcate minori laterali, che consentivano di isolarlo completamente sul fiume e di renderlo inagibile agli assedianti. Una torre difensiva chiamata Torre del Tripizone (probabilmente nome derivato dal termine greco che indica le passerelle di legno) caratterizza per molti secoli l'aspetto del ponte e anzi alcuni disegni mostrano tre torri difensive a creare un vero e proprio ponte fortificato.



Molti i restauri e i lavori che i pontefici fecero al ponte nel corso dei secoli, e tra i principali sono da rilevare quelli eseguiti tra il 1149 e il 1152 eseguiti dal Senato del Comune di Roma per sistemare il ponte per il passaggio dell'imperatore Corrado III.
Nel 1312 passò su Ponte Milvio Arrigo VII per essere incoronato imperatore in Laterano. Era questi il sovrano di Lussemburgo, poi re di Germania che qualcuno vuole identificare nel famoso "veltro" profetizzato da Dante nel I canto dell'Inferno.
Un restauro importante venne eseguito dai pontefici Niccolò V e Callisto III tra il 1451 e il 1458, e di questi lavori si conserva all'interno del torrione attuale una iscrizione con stemmi di Callisto III e dei suoi nipoti i cardinali Borgia.



Il 12 aprile 1462 il cardinal Bessarione venne accolto sul ponte da papa Pio II, i cardinali e il popolo, al ritorno dalla Grecia da dove aveva riportato la reliquia della testa di S. Andera apostolo. Passato il ponte, nell'attuale piazza card. Consalvi, la reliquia venne posata su un antico rudere e si svolse una messa solenne. Da questo punto la processione proseguì lungo la Flaminia fino a S. Maria del Popolo dove la reliquia venne custodita per una notte, e il giorno successivo venne portata in Vaticano, dove fu conservata fino al 1964 quando Paolo VI la restituì al patriarca ortodosso. Nel 1463 a ricordo dell'avvenimento Pio II fece erigere una edicola sul uogo dove enne posata a reliquia e al posto del rudere romano (probabilmente un sepolcro) venne eretto il monumento con quattro colonnine che si può vedere ancora oggi in p.za Card. Consalvi. Originariamente sulla base, dove compare l'iscrizione che racconta la vicenda, si trova la statua di S. Andrea, coperta da una tettoia sorretta da quattro colonne di alabastro. Oggi le colonne e il tetto sono di travertino perchè nel 1869 un fulmine distrusse l'edicola che venne quindi ricostruita con altri materiali.
Ponte Milvio dal 1400 divenne posto di dogane con l'istituzione dei custodi del Dazio, e nel corso dei secoli si ricordano anche episodi di estorsione avvenuti sul ponte da parte dei funzionari.
Il restauro che ci ha consegnato il ponte nelle condizioni attuali si deve all'iniziativa di papa Pio VII (la cui memoria rimane nelle due grandi iscrizioni sulla torretta) che incaricò il Valadier dei lavori di sistemazione. I ponti levatoi che resistevano dal VI secolo d.C. vennero finalmente tolti e si ricostruirono le due arcate laterali; il torrione venne ristrutturato con l'apertura del grande arco d'ingresso, e nella parte alta venne creato un appartamento per il custode; la statua di S. Giovanni Nepomuceno (santo boemo annegato nella Moldava nel 1393 la cui statua venne sistemata nel 1731 sul parapetto del ponte poichè il santo era considerato protettore degli annegati e dei giuramenti segreti) venne spostata alla testata meridionale del ponte, dove si vede ancora oggi. Nel 1825 davanti al torrione vennero sistemate le due statue (oggi presenti in copie poichè gli originali vennero portati al Museo di Roma di Palazzo Braschi nel 1956) rappresentanti il Battesimo di Cristo: a destra S. Giovanni Battista e a sinistra Gesù Cristo. Le statue che furono create alla metà del Seicanto dallo scultore Francesco Mochi per la famiglia dei Falconieri attesero nei magazzini del loro palazzo di famiglia di via Giulia per due secoli prima di trovare la loro sistemazione all'ingresso di Ponte Milvio. Infatti i Falconieri non rimasero soddisfatti dal lavoro eseguito dallo scultore e invece di posizionarle nella loro cappella a S. Giovanni de' Fiorentini li nascosero nella loro dimora. Solo con l'interesse di Belisario Cristaldi esse furono prima acquistate e poi sistemate sul ponte.
Un'ultima statua prese il suo posto su Ponte Milvio: si tratta della statua dell'Immacolata che nel 1840 prese posto sulla testata meridionale del ponte in posizione simmetrica a quella di S. Giovanni Nepomuceno.
Una Targa all'interno dell'arco di ingresso del torrione ricorda infine l'impresa di alcuni garibaldini che nel 1849 minarono il ponte e lo fecero saltare per impedire l'accesso alle truppe francesi che assediavano Roma.

 Ponte Milvio dopo le mine dei garibaldini.

Osservando la struttura del ponte si notano quattro arcate maggiori e due laterali minori. delle arcate maggiori le due più meridionali, insieme con l'arco di piena nel pilone che le sorregge, sono quelle del ponte romano del 109 a.C. costruito o restaurato dal censore Marco Emilio Scauro e sono individuabili facilmente dall'arco caratterizzato dalla ghiera di blocchi di travertino, mentre i due archi maggiori a nord sono frutto di restauri medioevali e presentano un arco a sesto acuto e con ghiera costituita da mattoni. Il nucleo del ponte è costituito da blocchi di tufo di Grotta Oscura che è un materiale largamente utilizzato nel IV secolo a.C. e che potrebbe benissimo riferirsi al ponte originario. Inoltre altre parti romane possono individuarsi nelle basi dei piloni e nelle loro fondazioni nel letto del fiume.
Notizie del Piranesi e di Nibby sembrano indicare la presenza di un altro ponte antico a monte dell'attuale Ponte Milvio. Secondo la loro testimonianza la presenza di questa struttura era indicata da blocchi di materiale nel letto del fiume e da strutture ulla riva destra che oggi non si vedono più. Potrebbe trattarsi anche dell'originario Ponte Milvio poi spostato nella ricostruzione di Scauro, ma ovviamente si tratta solamente di ipotesi.

 Ponte Milvio in un disegno di Piranesi.

Il nome del ponte passò da Mulvio a Milvio fino a diventare per il popolo romano Ponte Molle o Mollo, il ponte più "vecchio" di Roma. Secondo l'etimologia popolare il mollo del ponte si deve al fatto che il ponte durante le piene si allagasse oppure, secondo altra etimologia, dal fatto che molleggiasse. A rafforzare quest'ultima spiegazione nel 1962, a valle del ponte, furono eseguiti alcuni interventi nel letto del Tevere creando delle piccole rapide che ebbero il risultato di stabilizzare la struttura del ponte soprattutto dopo le piene e la veloce asportazione dei sedimenti fluviali.
In tempi recenti ponte Milvio ha sostenuto il traffico veicolare fino al 1985, quando alcuni interventi di restauri individuarono un tratto di strada del 1600 e il ponte divenne finalmente pedonale.
Dopo battaglie imperiali, passaggi trionfali di imperatori e papi oggi Ponte Milvio è conosciuto soprattutto per essere teatro dell  "movida" notturna di Roma e per essere invaso da adolescenziali lucchetti dell'amore che negli scorsi anni hanno provocato anche il crollo di un lampione del parapetto del ponte.
Ad ogni epoca le proprie usanze.

mercoledì 28 marzo 2012

Il Tempio di Apollo Sosiano

 
Il Tempio di Apollo nell’area del Circo Flaminio, fu l’unico a Roma dedicato al dio fino alla costruzione dell’altro grande tempio sul Palatino. Venne votato nel 433 a.C. in seguito ad una pestilenza e consacrato ad Apollo Medicus, quindi dedicato nel 431 a.C. dal console Cneo Giulio. Questo tempio venne eretto nei Prata Flaminia, nel luogo dove già da tempo esisteva un santuario di Apollo (Apollinar). L’edificio venne restaurato nel 359 a.C. e ancora nel 179 a.C. con la realizzazione della nuova statua di culto del dio opera dello scultore Timarchides. 

Nel 34 a.C. fu integralmente ricostruito da Caio Sosio, da cui l’appellativo di Sosiano. I resti del tempio appartengono proprio a questa ricostruzione: il podio (21 x 40 m.) alto 5, 50 m. è costituito da calcestruzzo con blocchi di travertino e tufo, e al suo interno sono stati trovati resti appartenenti al restauro del 179 a.C. tra cui un’iscrizione a mosaico; sul podio si trovano le tre colonne corinzie di marmo lunense (Carrara) rialzate dopo lo scavo e alte circa 14 m., sormontate da fregio  con bucrani e ghirlande di olivo. Per la costruzione del vicinissimo Teatro di Marcello il tempio venne arretrato di qualche metro e addossato al Portico di Ottavia, e la scala frontale di accesso venne eliminata per far posto a delle scalette laterali.

Il tempio originariamente si presentava come uno pseudoperiptero, con un pronao con sei colonne sulla fronte e tre sui lati e sette semicolonne per ogni lato della cella; l’interno della cella era articolato in una doppia fila di edicole riccamente ornate da colonnine di marmo policromo e timpani triangolari e lunati inquadrati da colonne di marmo africano e capitelli corinzi; l’architrave era decorato da un fregio con scene di battaglia e cortei trionfali, i cui resti sono conservati nei Musei Capitolini; sappiamo dagli autori antichi che frequentemente all’interno del tempio si svolgevano le riunioni del senato ed inoltre erano qui conservate numerose opere d’arte, tra cui alcune pitture di Aristide di Tebe, sculture di Fisilisco di Rodi, l’Apollo con la cetra di Timarchides e un gruppo di Niobidi di Skopas o Prassitele.
All’esterno il frontone era decorato con scena di Amazzonomachia con statue di marmo pario, forse provenienti da un tempio greco di Eretria, databili al V secolo a.C. Nove di queste statue tra le quali compaiono Atena, Ercole. Teseo e Amazzoni a cavallo sono conservate nei Musei Capitolini.


sabato 22 ottobre 2011

Lo Stadio di Domiziano

La pianta dello Stadio di Domiziano è rimasta visibile nel tessuto urbanistico della moderna città di Roma nell’attuale Piazza Navona. I palazzi che la delimitano infatti sono stati costruiti sopra le antiche gradinate della cavea, i cui resti si possono vedere ancora nel settore del lato curvo dello stadio verso piazza di Tor Sanguigna (scoperti negli anni 1936-38 sotto il Palazzo dell’INA) e sotto la chiesa di S. Agnese.
L’imperatore Domiziano, della dinastia dei Flavi, decise di costruire un edificio dove potessero svolgersi le gare di atletica importate dalla Grecia e mal viste originariamente dai Romani, ma che entrarono a far parte del Certamen Capitolinum in onore di Giove insieme a gare equestri e musicali. Sappiamo dalle fonti che eccezionalmente venne usato anche per combattimenti tra gladiatori. La costruzione dello Stadio e dell’Odeon dovrebbe essere stata eseguita intorno all’86 d.C. in seguito ad un grande incendio che nell’80 d.C. distrusse gran parte degli edifici del Campo Marzio.
La lunghezza dello stadio è di circa 275 m., la larghezza di 106 m. e originariamente l’aspetto della struttura esterna doveva essere caratterizzato da una serie di doppie arcate con pilastri di travertino con semicolonne ioniche (per il primo ordine) e forse corinzie (per il secondo ordine). La tradizione cristiana vuole che proprio in un lupanare all’interno dei fornici dello stadio di Domiziano abbia subito il martirio S.Agnese, nel luogo dove si trova la chiesa a lei dedicata e sotto la quale possono vedersi notevoli resti della struttura antica.
Quattro ingressi, ciascuno per ogni lato, consentivano l’accesso sugli spalti divisi in due settori (maeniana) dove potevano trovare posto circa 30.000 spettatori. L’arena era libera da costruzioni, senza spina centrale o cancelli di partenza (carceres), come testimoniano le rappresentazioni sulle monete. Lo stadio fu successivamente oggetto di lavori di restauro sotto l’impero Alessandro Severo insieme alle vicine terme di Nerone.



Domiziano fece inoltre costruire l’Odeon nelle immediate vicinanze dello Stadio, a sud di questo. Si tratta di un edificio destinato agli spettacoli musicali la cui capienza è stimata intorno alle 10.000 unità. Anche in questo caso la forma dell’antico edificio è stata ricalcata dal Palazzo Massimo, la cui facciata su Corso Vittorio Emanuele segue la linea curva della cavea. Dell’Odeon rimane forse solo una alta colonna di marmo cipollino, probabilmente appartenente all’antica scena, che si trova al centro di Piazza dei Massimi, davanti alla facciata posteriore del Palazzo. Dalle fonti sappiamo che questo edificio venne restaurato sotto Traiano dal suo architetto Apollodoro di Damasco.

domenica 22 maggio 2011

Il Sepolcro degli Scipioni




Il sepolcro degli Scipioni è situato tra la via Latina e la via Appia, più vicino a quest’ultima, poco prima di Porta S. Sebastiano. Venne scoperto una prima volta nel 1616 e poi più di un secolo dopo nel 1780, quando i proprietari del terreno, i fratelli Sassi, scoprirono iscrizioni e sarcofagi in esso contenuti. Soltanto nel 1926-1928 però si completò lo scavo del sepolcro e si provvide al restauro della struttura, con la sistemazione di copie delle iscrizioni e dei sarcofagi che già si trovavano altrove.
Il Sepolcro venne scavato nel tufo all’inizio del III secolo a.C. per iniziativa di uno dei membri della famiglia degli Scipioni e fu utilizzato fino alla metà del II secolo a.C. quando si rese necessario un ampliamento che venne affiancato alla struttura originale.
La facciata del sepolcro si trovava sulla strada che univa la via Appia alla Latina e venne rifatta al momento della costruzione dell’ampliamento del sepolcro nel II secolo a.C., probabilmente per iniziativa di Scipione Emiliano. Oggi della facciata monumentale non rimane quasi niente, solo la parte inferiore, ma sappiamo che era formata da un basamento in blocchi di tufo con modanatura superiore a sostenere un prospetto con semicolonne e probabilmente tripartito per le tre statue che vi trovavano posto, e che raffiguravano Scipione Africano, il poeta Ennio e Scipione Emiliano. La parte inferiore della facciata presenta tracce di pittura con motivo a onde e scene di probabile soggetto militare, e in essa si aprivano le tre porte ad arco che davano accesso al sepolcro. Quella al centro dava accesso alla parte più antica del sepolcro, formato da un grande ambiente con quattro pilastri di tufo risparmiati durante lo scavo, con i sarcofagi disposti lungo le pareti.


In posizione centrale e in asse con l’ingresso centrale del sepolcro si trova il grande sarcofago (l’originale è ai Musei Vaticani) di Lucio Cornelio Scipione Barbato, console nel 298 a.C., con iscrizione del nome sul coperchio e altra iscrizione sulla cassa in versi saturni che ne ricorda le imprese. Ci sono poi altri sarcofagi di appartenenti alla famiglia che qui vennero deposti al momento della loro morte, come L. Cornelio Scipione, figlio di Barbato e console nel 259 a.C. e Publio Cornelio Scipione, forse il figlio dell’Africano (che fu sepolto no qui ma nella sua villa di Liternum), morto in giovane età. Seguono poi tutta una serie di altri membri della famiglia.
Il sepolcro venne parzialmente riutilizzato in età giulio-claudia dalla famiglia dei Corneli Lentuli, eredi dei Corneli Scipioni, di cui si sono trovavate le iscrizioni e i loculi per incinerazione.
In prossimità del sepolcro si trova anche un colombario ipogeo formato da un unico ambiente con due pilastri e alle pareti quattro file sovrapposte di nicchie per le urne cinerarie con pitture e stucchi.
Il sepolcro degli Scipioni ormai abbandonato, venne danneggiato nel III secolo d.C. dalla costruzione su di esso (in particolare sull’ampliamento del II secolo a.C.) di una casa a più piani le cui strutture sono ancora visibili.

 

Il Sacello di Venere Cloacina



 
I resti del sacello di Venere Cloacina si trovano nel Foro Romano a ridosso della Basilica Emilia lungo il percorso della via Sacra.
Rimane il basamento circolare di marmo che, come risulta dalle raffigurazioni sulle monete, originariamente sosteneva un piccolo recinto perimetrale al cui interno erano situate due statue di divinità: Cloacina e Venere, divinità che con il tempo vennero assimilate e fuse in un’unica dea conosciuta come Venere Cloacina. Cronologicamente la divinità più antica risulta essere Cloacina, il cui piccolo sacello, a cielo aperto, in questo punto del Foro Romano coincide con l’ingresso nell’area della Cloaca Massima. 

 Proprio in prossimità di questo piccolo recinto sacro la tradizione storica romana colloca episodi importanti delle origini della città come la purificazione degli eserciti dei romani e dei sabini dopo la guerra scatenata dal ratto delle sabine, e l’uccisione di Virginia per mano del padre che sottrae così la figlia dalle insidie del decemviro Appio Claudio.




Il Portico di Ottavia



Questo portico venne costruito da Augusto negli anni compresi tra il 33 e 23 a.C. sul luogo già occupato in precedenza dal Portico di Metello. La nuova struttura, che venne dedicata ad Ottavia sorella dell'imperatore, si trovava in prossimità del Circo Flaminio e vicino il Teatro di Marcello.
Il portico era costituito da un doppio colonnato che racchiudeva due templi, già inseriti nel portico di Metello, il tempio di Giove Statore e il tempio di Giunone Regina. Il Portico di Ottavia era inoltre caratterizzato dalla presenza di opere d'arte, anche queste ereditate dalla più antica struttura. Doveva trattarsi di un vero e proprio museo a cielo aperto in quanto qui era ospitato il gruppo con 34 statue equestri di bronzo, opera di Lisippo, raffiguranti Alessandro e i suoi ufficiali alla battaglia del Granico.


Era esposta qui inoltre la prima statua dedicata (verso il 100 a.C.) ad una donna a Roma, che rappresentava, in bronzo, Cornelia, la madre dei Gracchi. Sappiamo inoltre che sul lato di fondo del portico si apriva una grande esedra, la Curia Octavia, e all'interno del portico dovevano trovarsi anche la biblioteca latina e greca. Parte di questo portico si trova rappresentato nei frammenti della pianta marmorea severiana e doveva avere una pianta rettangolare di 119 x 132 m.
L'ingresso del portico di Ottavia si trovava sul lato meridionale, ed era costituito da un propileo, conservato, con due facciate identiche parallele sporgenti all'esterno ed all'interno del portico. Ogni facciata aveva quattro colonne corinzie scanalate tra due ante sormontate da architrave e timpano. Le facciate erano collegate fra loro sui lati da archi in laterizio con rivestimento marmoreo che si aprivano sul portico e formavano un grande ambiente con soffitto di legno.
Sono testimoniati lavori di restauro in età domizianea, dopo l'incendio dell'80 d.C. ed una quasi integrale ricostruzione da parte di Settimio Severo dopo l'incendio del 191 d.C. 


Oggi si può vedere la struttura del propileo di ingresso del portico che conserva le due colonne di sinistra della facciata esterna (le altre furono sostituite da un arco in laterizio probabilmente durante il medioevo in corrispondenza della chiesa di S. Angelo in Pescheria) l'architrave (con iscrizione che testimonia i lavori di restauro di Settimio Severo nel 203 d.C.) e il timpano. Si possono vedere ancora inoltre tre colonne con architrave e timpano della facciata interna, parti del tetto con tegole di marmo e antefisse con raffigurazioni di aquile, gli archi laterali con mensole di marmo e resti del rivestimento marmoreo. Accanto al propileo, sulla sinistra, si conservano inoltre alcune colonne dell'ala porticata meridionale, sono di granito e di cipollino alternate, mentre sul lato destro gli scavi hanno rimesso in luce la base su cui poggiava il colonnato, parte della pavimentazione e resti del più antico portico di Metello.