domenica 24 ottobre 2010

G.G. Belli e le antichità di Roma (4)


L’oche e li galli

Ar tempo de l’antichi, in Campidojjo,
dove che vvedi tanti piedestalli,
quell’ommini vestiti rossi e ggialli
c’ingrassaveno l’oche cor trifojjo.
Ecchete che ’na notte scerti galli
viengheno pe ddà a Roma un gran cordojjo:
ma ll’oche je sce messeno uno scojjo,
ché svejjorno un scozzone de cavalli.
Quell’omo, usscito co la rete in testa
e le mutanne sole in ne le scianche,
cacciò li galli e jje tajjò la cresta.
Pe cquesto caso fu che a ste pollanche
er gran Zenato je mutò la vesta,
ch’ereno nere, e vvorze fàlle bbianche.

Terni, 4 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

venerdì 15 ottobre 2010

Apertura dei sotterranei e del terzo anello del Colosseo






Ieri 14 ottobre 2010 c'è stata la conferenza stampa e la presentazione delle nuove aree visitabili del Colosseo: i sotterranei e la galleria del terzo anello superiore. Romarcheomania era presente e mostra le immagini suggestive di un monumento unico al mondo.
I nuovi percorsi vanno dalla Porta Libitinaria, fronte via Labicana, dove si potrà accedere a un’ampia porzione dei sotterranei, sottostante il piano dell’arena ricostruito nel 2000, per la prima volta aperti al pubblico, a parte del III livello, chiuso dagli anni ’70 del XX secolo. Da questo, posto a 33 metri circa dal livello della piazza, si potrà godere una splendida veduta e dell’area archeologica centrale e, in generale, di Roma: da Monte Mario all’Eur. I sotterranei, ove confluivano i gladiatori e gli animali e si svolgevano gli ultimi preparativi prima degli spettacoli, si conservano nelle condizioni in cui erano alla fine del V secolo d.C., quando furono interrati, e non hanno quindi subito alcuna manomissione dovuta a usi successivi, come avvenuto per la parte elevata dell’Anfiteatro. Un accurato lavoro di restauro e un sapiente impiego delle luci restituiscono l’atmosfera, un po’ cupa, ma di grande suggestione e impatto emotivo, dei luoghi ove per secoli transitarono migliaia di uomini e animali prima di affrontare la morte.
La Porta Libitinaria posta sul lato est del Colosseo, prende il nome dalla dea Libitína la divinità romana preposta agli onori che si tributavano ai morti. Infatti, da questa porta uscivano i cadaveri dei gladiatori uccisi nell'arena.
Gli Ipogei e le strutture sotterranee erano fondamentali per lo svolgimento dei giochi e delle cacce. Vi erano ospitati gli animali e i macchinari necessari a sollevare sull’arena i complessi apparati scenici che facevano da sfondo agli spettacoli.Rimangono le gabbie degli animali che con un sistema di montacarichi venivano portati al livello dell'arena.
IL III livello, unica galleria conservatasi integra, nella quale rimangono parte degli intonaci di rivestimento e i lucernai originali, collega il II con il III ordine dell'anfiteatro.

lunedì 11 ottobre 2010

Le Terme di Caracalla

Questo grandioso complesso termale venne costruito agli inizi del III secolo d.C. dall’imperatore Marco Aurelio Antonino Bassiano detto Caracalla e inaugurato per l’esattezza nel 216 d.C., ma i lavori proseguirono anche durante l’impero di Elagabalo e Alessandro Severo quando venne costruito il portico del recinto esterno e completata la decorazione, e dunque le terme possono considerarsi ultimate intorno al 235 d.C. Sono documentate successivamente fasi di restauro effettuate da Aureliano, in seguito ad un incendio, e da Diocleziano, con lavori di sistemazione dell’acquedotto (aqua Antoniniana) costruito da Caracalla per alimentare le sue terme. Gli ultimi restauri agli ambienti termali furono eseguiti da Teodorico e risalgono ai primi anni del VI secolo d.C., cioè pochi anni prima del definitivo abbandono delle terme avvenuto nel 537 d.C. in seguito al taglio degli acquedotti operato dai Goti di Vitige durante il loro assedio alla città.
A partire da questo periodo le terme divennero una delle più gandi cave di materiale pregiato di Roma. Nel XII secolo abbiamo notizia di alcuni capitelli riutilizzati nel Duomo di Pisa e nella chiesa di S. Maria in Trastevere, ma è nel XVI secolo che gran parte del complesso termale venne saccheggiato ad opera di papa Paolo III Farnese, che utilizzò i materiali tratti dagli scavi del 1545-1547 per la costruzione del suo palazzo nel Campo Marzio (Palazzo Farnese, oggi sede dell’Ambasciata di Francia). In questo periodo avvennero i ritrovamenti di maggior pregio e vennero scoperti, oltre alle opere considerate “minori”, il cosiddetto Toro Farnese (gruppo scultoreo che rappresenta il supplizio di Dirce), una statua di Flora (Flora Farnese) e l’Ercole Farnese (Ercole in riposo), tutte sculture che andarono ad arricchire la collezione della famiglia Farnese e che sono oggi conservate nel Museo Nazionele di Napoli.
Dopo questi sterri le terme continuarono a fornire pezzi pregiati che in continuazione vennero posti in opera nelle costruzioni moderne come nel caso della colonna di granito eretta in piazza Santa Trinità a Firenze nel 1561 proveniente dal frigidarium delle terme, e delle due grandi vasche di granito bigio riutilizzate in piazza Farnese a Roma nel 1612.
In seguito scavi sistematici del complesso furono intrapresi solo nel 1812 e proseguirono a più riprese fino alla prima metà del XX secolo, quando venne scoperto il grande mitreo nei sotterranei; infine, in tempi più recenti, le ultime indagini archeologiche e le sistemazioni dell’area archeologica sono state eseguite negli anni Ottanta e Novanta.
Le terme consistono di un corpo centrale (220 x 114 m.) posto al centro di un’area circondata da un recinto esterno (337 x 328 m.) costituito da un portico, dove si trovavano due piani di tabernae e di cui oggi rimangono scarse tracce visibili sul fronte nord, su via delle Terme di Caracalla. Ai lati est e ovest di questo recinto si aprono due grandi esedre ognuna con una sala absidata centrale e due ambienti minori alle sue estremità, mentre nel lato sud trova posto la grandiosa cisterna per la raccolta dell’acqua, che consisteva in 18 ambienti comunicanti coperti a volta per una capacità totale di circa 10.000 metri cubi. Addossata alla cisterna, ad impedirne la vista dall’impianto termale vero e proprio, si trova una gradinata che tradizionalmente viene riferita ad uno stadio, mentre forse è da interpretare come una cascata d’acqua che creava un suggestivo effetto scenografico. Ai lati di questa struttura due ambienti rettangolari sono stati identificati come biblioteche.
Un giardino separa il recinto esterno dal corpo centrale in cui si trovano gli ambienti termali, il cui accesso avveniva anticamente sul lato nord attraverso due vestiboli che conducevano a due spogliatoi adiacenti (apodyteria). A separare queste due strutture simmetriche si trova la grande vasca della natatio, la piscina scoperta. Seguendo il percorso antico si passa nelle palestre, due grandi ambienti simmetrici con abside posti alle estremità dell’edificio e caratterizzate dalla presenza di portici con colonne di giallo antico e da mosaici pavimentali policromi. Da qui si intraprendeva la serie dei bagni partendo dal calidarium, la sala circolare per i bagni caldi posta al centro dell’estremità meridionale, con grande vasca centrale e altre sei minori poste tra i pilastri che sostenevano la cupola di copertura. Proseguendo sull’asse centrale verso nord si entra poi nel tepidarium, fiancheggiato da due vasche, e quindi nella grande sala del frigidarium (58 x 24 m.), posta al centro di tutto il complesso, con i pilastri che sorreggevano le tre grandi volte a crociera e con le quattro vasche per i bagni di acqua fredda.
Interessante è anche il complesso dei sotterranei con i corridoi carrabili di servizio da cui dipendeva il completo funzionemento delle terme. In uno di questi sotterranei vicino all’esedra occidentale del recinto esterno venne impiantato verso la prima metà del III secolo d.C. uno dei più grandi mitrei rinvenuti fino ad oggi a Roma.

sabato 9 ottobre 2010

G.G.Belli e le antichità di Roma (3)


Li bbattesimi de l’anticajje

Su l’anticajja a Ppiazza Montanara
Ciànno scritto: Teatro de Marcello.
Bbisoggna avé ppancotto pe ccervello,
Pe ddí una bbuggiarata accusí rrara.

Dove mai li teatri hanno er modello
A uso d’una panza de callara?
Dove tiengheno mai quele filara
De parchetti de fora com’è cquello?

Pàssino un po’ da Palaccorda e Ppasce:
Arzino er nas’in zú, bbestie da soma:
Studino llí, e sse faccino capasce.

Quell’era un Culiseo, sori Cardei.
Sti cosi tonni com’er culo, a Rroma
Se sò ssempre chiamati Culisei.

22 giugno 1834

martedì 5 ottobre 2010

L'Ara Pacis

L’altare della pace di Augusto, votato il 4 luglio del 13 a.C. e dedicato il 30 gennaio del 9 a.C., fu ideato come monumento simbolo della propaganda imperiale con lo scopo di legare saldamente la figura dell’imperatore con la pacificazione del mondo allora conosciuto. L’ara venne eretta nel Campo Marzio settentrionale proprio sul limite del pomerium della città e il sito esatto del monumento era già conosciuto a partire dal 1568, quando furono scoperti nove frammenti della decorazione scultorea, mentre altre parti dell’altare vennero rinvenuti nel 1859. Ma soltanto nel 1879 questi frammenti ritrovati furono esattamente identificati e attribuiti all’Ara Pacis di Augusto. Le prime vere esplorazioni archeologiche al di sotto del Palazzo Fiano-Almagià furono intraprese nel 1903 e portarono alla scoperta della struttura dell’altare e di altri rilievi della decorazione, mentre la completa liberazione delle parti restanti del monumento avvenne negli anni 1937-1938, in occasione del bimillenario di Augusto. Nel 1938 si procedette quindi alla ricostruzione e al restauro dell’altare che però fu trasferito dalla sede originaria in un apposito padiglione costruito accanto al Mausoleo di Augusto, luogo dove ancora oggi è possibile ammirarlo all’interno della nuova sistemazione museale. L’Ara Pacis è interamente realizzata in marmo lunense e si struttura come un recinto quasi quadrato (11, 65 x 10,62 m.) su podio, al cui interno si trova l’altare vero e proprio. Il recinto, sui cui lati lunghi si aprono due porte, è diviso all’esterno in due parti, una inferiore con decorazione uguale sui quattro lati (girali di acanto che nascono da un cespo centrale), e una superiore con decorazione scultorea più originale. Infatti le porte di accesso all’altare sono inquadrate da pannelli decorativi con la rappresentazione di scene mitologiche e allegoriche: la rappresentazione del Lupercale (di cui rimangono scarsissimi resti) e il sacrificio di Enea ai Penati in presenza di suo figlio Iulo-Ascanio, mentre sul lato opposto si trova la rappresentazione allegorica della Pace in veste di donna con due bambini sul grembo e, nell’altro panello, la personificazione di Roma (di cui rimangono scarsissimi resti) seduta sopra una catasta di armi. I due lati brevi del recinto invece accolgono nella parte superiore la rappresentazione di una processione sacra dove sono raffigurati insieme alle cariche sacerdotali romane anche Augusto e i membri della famiglia imperiale in una disposizione che riflette un ordine rigorosamente gerarchico. Sul lato sud l’imperatore è stato immortalato nel momento del sacrificio circondato dai sacerdoti e dai suoi famigliari, tra i quali si possono riconoscere Agrippa (amico fidato dell’imperatore nonché suo genero), Giulia (figlia di Augusto) e Tiberio (futuro imperatore). Sul lato opposto il fregio, meno conservato, raffigura il resto della processione nella quale, probabilmente, sono da riconoscere le figure delle vedove della famiglia imperiale (molte teste furono rifatte durante il XVI secolo). Anche la parte interna delrecinto risulta essere decorata, anche qui in una parte inferiore, a imitazione di una palizzata di legno (ricordo del recinto originario), e una parte superiore, con bucrani, corone e patere. L’altare vero e proprio, rialzato di tre gradini su tutti i lati e di cinque sul lato ovest da cui si aveva accesso alla mensa, è anch’esso riccamente decorato. Sullo zoccolo si trovano infatti le rappresentazioni di personaggi femminili, forse da intendere come raffigurazioni delle province dell’impero. Nella parte superiore dell’altare invece si trovano girali che poggiano su leoni alati. Intorno alla mensa dove avveniva il sacrificio annuale si trova inoltre un piccolo fregio con la rappresentazione del sacrificio stesso (il suovetaurilia, cioè il sacrificio di un maiale, una pecora e un toro) a cui partecipavano le vestali e il pontefice massimo.
L’Ara Pacis si presenta dunque come un monumento eclettico con motivi decorativi di diversa origine, evidenzia infatti rapporti con l’arte greca del periodo classico nella rappresentazione della processione della famiglia imperiale, una influenza dell’arte ellenistica che si manifesta specialmente nei pannelli di Enea e della Pace, e infine una tradizione più tipicamente romana documentata dal fregio sulla mensa. Con ogni probabilità la costruzione di questo monumento chiave dell’arte pubblica augustea si deve a botteghe greche.
La propaganda imperiale augustea che si manifestò in modo particolare nella costruzione di questo monumento segnò certamente la ricerca di consenso dei successivi imperatori, come nel caso spacifico di Nerone e Domiziano, sulle cui monete tornarono le raffigurazioni dell’altare della pace di Augusto proprio per sottolinare un legame ed un rimando al modello augusteo. È interessante inoltre sottolineare come nel II secolo d.C. in seguito al forte rialzamento del terreno in tutta l’area del Campo Marzio per preservare l’Ara Pacis venne creato tutto intorno al monumento un muro di contenimento che permise di continuare a vedere e conservare le splendide decorazioni scultoree che rendevano e rendono tuttora questo monumento uno dei più importanti elementi dell’arte romana.

martedì 28 settembre 2010

G.G. Belli e le antichità di Roma (2)

La Ritonna (Il Pantheon)

Sta cchiesa è ttanta antica, ggente mie,
che cce l’ha ttrova er nonno de mi’ nonna.
Peccato abbi d’avé ste porcherie
da nun essesce (1) bbianca una colonna!

Prima era acconzagrata a la Madonna
e cce sta scritto in delle lettanie:
ma doppo s’è cchiamata la Ritonna
pe ccerte storie che nun zò bbuscíe.

Fu un miracolo, fu; pperché una vorta
nun c’ereno finestre, e in concrusione
je dava lume er buscio de la porta.

Ma un Papa santo, che ciannò in priggione,
fesce una Croce; e ssubbito a la Vorta
se spalanco da sé cquell’occhialone. (2)

E ’r miracolo è mmóne (3)
ch’er muro cò cquer buggero de vôto,
se ne frega de sé (4) e dder terremoto.

Terni, 7 ottobre 1831 - De Pepp’er tosto

1 Esserci. 2 Credenza popolare. 3 Mo: ora. 4 Si ride di se stesso.

L'Anfiteatro Flavio (Colosseo)

 Ecco, dopo il sonetto di Belli, un po' di notizie sul Colosseo.
Il Colosseo fu costruito durante l’impero dei Flavi nella valle compresa tra Palatino, Oppio e Celio sancendo il ripristino dell’uso pubblico di questa vasta erea che in precedenza era stata sottratta alla cittadinanza da Nerone, il quale ne aveva fatto il centro della sua grandiosa Domus Aurea, con un lago artificiale circondato da immensi giardini.
Infatti prima della costruzione del grande anfiteatro i combattimenti tra gladiatori (munera) si svolsero per molto tempo nel Foro Romano e in edifici provvisori di legno costruiti occasionalmente, e il primo anfiteatro stabile in muratura fu costruito da Statilio Tauro nel Campo Marzio solo in epoca augustea.
Fu Vespasiano a iniziare i lavori per la costruzione dell’anfiteatro sul sito del lago neroniano e a fare una prima cerimonia dedicatoria dell’edificio quando ancora non era stato completato nel 79 d.C., ma soltanto durante l’impero di Tito si portarono a termine i lavori e l’Anfiteatro Flavio fu dedicato definitivamente per la seconda volta nell’80 d.C. con una grandiosa cerimonia e cento giorni di festa durante i quali nei combattimenti all’interno dell’arena furono uccise cinquemila belve. La decorazione dell’edificio e la rifinitura di tutti i suoi particolari avvenne solamente con Domiziano al quale deve essere attribuita probabilmente anche la costruzione dei sotterranei dell’arena, sotteranei che in precedenza non dovevano essere presenti se sono vere le notizie fornite dagli autori classici su alcune naumachie (battaglie navali) svolte nell’anfiteatro durante gli anni di principato di Vespasiano e Domiziano.
Costruito in massima parte di travertino e di forma ellittica con l’asse maggiore di 188 m. e quello minore di 156 m. l’Anfiteatro Flavio raggiunge l’imponente altezza di 52 m., al suo interno poteva ospitare circa 87.000 persone. L’anello esterno è composto da quattro ordini sovrapposti, i primi tre con arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche al primo piano, ioniche al secondo e corinzie al terzo. Il quarto ordine, alla sommità dell’edificio, e costituito da una parete con lesene corinzie che scandiscono ottanta riquadri all’interno dei quali si aprono a intervalli regolari quaranta finestre quadrate. Su questo attico sono ancora visibili i fori e alcune mensole che servivano per alloggiare le travi di sostegno del velario che serviva per riparare gli spettatori dal sole. A manovrare l’enorme telo e le relative funi che ne dovevano regolare il funzionamento era addetta una squadra di marinai chiamati dal porto del Miseno e stabilmente alloggiata nei pressi dell’anfiteatro nei Castra Misenatium.
All’esterno l’area di rispetto dell’edificio era delimitata da una serie di cippi di travertino, concentrici all’anfiteatro, e ancora oggi ne rimangono alcuni inseriti nella pavimentazione originale. Gli spettatori muniti di una tessera numerata per assistere agli spettacoli potevano accedere alle gradinate interne attraverso settantasei delle ottanta arcate totali di ingresso. Sulla chiave di volta di queste arcate infatti si possono ancora leggere i numeri che, presenti anche sulle tessere distribuite gratuitamente agli spettatori, permettevano la regolare affluenza nei giorni degli spettacoli. Le quattro arcate corrispondenti alle estremità degli assi dell’edificio costituivano gli ingressi privilegiati per senatori, sacerdoti e magistrati, e l’unica di queste arcate conservata, quella settentrionale che rivela anche tracce di un piccolo portico ad essa connesso, doveva probabilmente costituire l’ingresso al palco imperiale che doveva trovarsi al centro del lato nord della cavea.
L’interno dell’anfiteatro ospitava cinque settori di gradinate sovrapposti (maeniana) e in ognuno di questi settori trovavano posto determinate categorie di persone divise in base al rango sociale. Nel primo settore, più vicino all’arena, sedevano i senatori, con posti personali (rivelati da iscrizioni con alcuni nomi) su gradinate di marmo, seguiti subito dopo dai cavalieri. Quindi nei tre settori successivi si sistemava il resto della popolazione sempre seguendo gerarchie sociali, ed infine nell’ultimo settore, considerato il peggiore e costruito in legno sotto un colonnato alla sommità dell’anfiteatro, trovavano posto le donne.
Queste gradinate poggiano sopra pilastri e volte a botte che al piano terra formano cinque corridoi concentrici, mentre il rapido deflusso degli spettatori era regolato da un complesso sistema di scalinate. L’analisi dell’edificio ha rivelato la presenza di uno scheletro portante, costituito da pilastri di travertino collegati da archi in muratura e dalle volte su cui poggiano i diversi settori della cavea, che ha permesso la rapida conclusione dei lavori con la possibilità di alzare i muri riempitivi tra i pilastri contemporaneamente al piano inferiore, in blocchi di tufo, e in quello superiore, in muratura.
Al centro dell’anfiteatro l’arena concentrava su di sé l’attenzione degli spettatori che spesso assistevano meravigliati all’improvvisa apparizione di scenografie, gladiatori e animali, protagonisti dei combattimenti o delle cacce (venationes). Infatti il piano dell’arena doveva essere costituito da una struttura mista di muratura e legno o da un tavolato ligneo in cui si aprivano delle botole attraverso le quali venivano issati, con un sistema di montacarichi, gli elementi scenografici e i protagonisti dei combattimenti. I corridoi che compongono i sotterranei dell’arena ospitavano tutti i macchinari (carrucole, montacarichi e rampe inclinate) che servivano per il regolare svolgimento degli spettacoli, e inoltre il corridoio centrale maggiore consentiva un accesso nascosto e diretto, verso est, con la grande caserma dei gladiatori, il Ludus Magnus.
Interessato da numerosi interventi di restauro nel corso dei secoli da parte degli imperatori l’Anfiteatro Flavio una volta aboliti definitivamente i combattimenti tra gladiatori nel V secolo d.C. iniziò la sua fase di declino, divenendo nel Medioevo sede della famiglia dei Frangipane. Seguirono numerose spoliazioni di materiale, come il recupero delle grappe metalliche delle murature attraverso i numerosi buchi tra i blocchi ancora visibili, e l’utilizzazione dell’anfiteatro come vera e propria cava di materiale, soprattutto travertino, per costruzioni moderne, tra cui il Palazzo Barberini nel 1634 e il Porto di Ripetta nel 1703.
Ancora oggi e dopo tanti secoli l’Anfiteatro Flavio, che solo dall’VIII secolo prese il nome di Colosseo per la vicinanza della statua colossale di Helios detta Colossus, colpisce il visitatore per la sua maestosità ed imponenza, caratteristiche che hanno portato ad indicare questo monumento come il simbolo stesso di Roma e che hanno ispirato la famosa e suggestiva profezia formulata nell’VIII secolo dal Venerabile Beda: “Fino a che starà in piedi il Colosseo anche Roma starà i piedi; quando cadrà il Colosseo anche Roma cadrà; quando cadrà Roma cadrà il mondo.”